
Undine – Un amore per sempre
Regista
Christian Petzold
Genere
Drammatico , Sentimentale
Cast
Paula Beer, Franz Rogowski, Jacob Matschenz
Sceneggiatore
Christian Petzold
Produttore
The Match Factory, Europictures
Durata
90 min
Offerte
Data di uscita
24 settembre 2020
La fine è il mio inizio: Undine al Festival di Berlino 2020
Comincia così il film di Christian Petzold presentato all’ultimo Festival di Berlino. Dalla fine. Una rottura, più che una chiusura vera e propria. Di un relazione, quella tra la giovane storica Undine (Paula Beer) e Johannes (Jacob Matschenz), dopo che lui aveva promesso di amarla per sempre. Una storia (finita) che si apre con una minaccia che sa di promessa. O forse è il contrario. Vincitore dell’Orso d’Argento per Migliore Attrice, Undine – Un amore per sempre è una favola moderna che affonda le sue radici nel mito per ri-attuarlo, scardinandolo dai vincoli del tempo per farne una storia universale. Senza fine, come certi amori.
Le radici folkloristiche: il mito dell’Ondina
L’ondina è una figura del folklore nordeuropeo. Il suo nome deriva dal latino e significa onda. Indica spiriti acquatici erranti tendenzialmente benevoli, ma pronti a uccidere e a vendicarsi per ripagare torti o umiliazioni. Secondo la leggenda, Undine è una delle figlie del Re del mare, la quale decide di abbandonare il suo ambiente d’origine per ottenere un’anima immortale, legandosi per sempre a un umano. Rinata sulla terra come figlia di un pescatore e di sua moglie, Undine cresce e si innamora del bel cavaliere Hulbrand. L’uomo, nonostante le vera natura della ragazza, ricambia il sentimento: lascia la sua promessa sposa e giura eterno amore a Undine. A quel punto, Undine scopre l’esistenza di una maledizione: qualora l’amato tradisse la promessa, lei dovrà ucciderlo rubandogli l’anima con un bacio fatale, per poi tornare nelle profondità nel mare.
L’unione tra i due innamorati dura felice finché la precedente fidanzata del cavaliere, decisa a riconquistarlo, lo seduce. Scoperto il tradimento, Undine uccide Huldbrand e si immerge nuovamente in acqua.La figura mitologica dell’ondina non è estranea al cinema. In Ondine (2009), il pescatore irlandese Syracuse (Colin Farrell) si innamora di una misteriosa ragazza ripescata dal mare, convincendosi a poco a poco che si tratti di una selkie, una creatura marina leggendaria che in rari casi può stabilirsi a terra legandosi a un umano. Ma mentre la mitologia irlandese viene utilizzata come un pretesto per dare l’illusione di una sospensione tra favola e realtà, prima di virare bruscamente verso quest’ultima nella seconda parte del film.
Petzold ci lascia in un limbo indefinito, in cui lo spettatore smarrisce la via e perde i confini. Come nelle acque torbide di un fiume. Si ricostruisce un mito alla maniera del mito. Il regista lavora con piccoli, continui rimandi interni, grazie alle rime tra azioni e inquadrature: rotture di oggetti, situazioni ripetute, corpi ripresi frontalmente e poi di spalle.Riecheggiano modelli ancestrali, ad esempio l’acquario che si spezza nel momento in cui la scintilla scocca, in un crescendo sonoro quasi assordante, per poi inondare la protagonista, facendole incontrare la sua natura marina.
Undine e la città di Berlino
Cosa significa costruire una città? Pensare alla vita in termini di spazio. La ragione di una costruzione, la sua storia, il suo scopo. Anche il cinema allestisce uno spazio, crea personaggi che si muovono in ambiente, ognuno con un passato, una visione, relazioni. La vita come una città stratificata, in cui ricordi, corpi, sentimenti si intrecciano e si sovrappongono, tra passato e presente. Undine è una di queste storie dentro una città, Berlino, e la sua geografia carica di storia.
Punto di partenza è il Märkisches Museum. La protagonista Undine, da creatura millenaria e mitologica qual è, lavora come storica: il suo compito è illustrare ai turisti le trasformazioni che hanno modificato il volto della città nei secoli. La si vede muoversi tra plastici e planimetrie, circondata da mappe che rimandano sempre agli esterni e collocano l’azione tra le vie della metropoli. Passato, presente e futuro convivono, stratificati, nei grandi plastici della città, con gli edifici che cambiano colore a seconda dell’epoca d’appartenenza.
In questo luogo, e nel bar adiacente la struttura, un amore finisce, un altro sboccia, una maledizione viene lanciata e dal plastico si passa alla messinscena realistica come in una Street View di Google Maps. Il piccolo contiene il grande, e viceversa:un sommozzatore giocattolo e uno vero, il plastico in scala e la città stessa, il mito e la storia, il racconto e la sua evoluzione. Il cinema come semplice vita nello spazio.
Undine: una fiaba romantica moderna
Un amore che si ripete, sempre uguale a sè stesso, ma sempre diverso. Proprio come la città. Ma allora il progresso esiste o è solo un’illusione? Un triangolo amoroso che si muove tra le vie della città, dove ogni angolo e ogni strada sono legati a un ricordo di qualcosa che è già passato. Un melodramma sulla memoria, in cui il mito è terreno fertile per i sentimenti, gli oggetti con cui arrediamo le nostre stanze interiori e i nostri paesaggi emotivi. Undine, sirena che nuota nell’aria, ama il palombaro Christoph (un Rogowski dall’aria sognante).
Lo ama tanto da rinunciare alla propria anima quando lui rimane in coma, restituendogli il respiro. Sceglie di tornare nelle profondità, ma non prima di aver mantenuto la promessa di morte fatta a Joannes, incapace di mantenere la sua. Non tutto può essere sempre riparato con un po’ di colla e belle parole. Meglio allora mettere fine (letteralmente) a questioni in sospeso per andare avanti. Chiudere, ma non dimenticare. Amore come soffio vitale, senza il quale è impossibile vivere.
Commento finale
Rilettura del mito germanico, Undine è un lago dalla superficie limpida e lineare. Quel che conta resta sotto, in profondità, sotto il livello dell’acqua e delle immagini. Il che richiede allo spettatore di immergersi nella storia d’amore, ma allo stesso tempo il rischio è quello di rimanere incastrati nella melma del fondale troppo a lungo. Il film, a un tratto sembra sottrarsi allo sguardo, chiudendosi in un linguaggio troppo ermetico, ma riesce a riprendere fiato sulla scia del finale.
Storia d’amour fou, Undine è un mélo matematico in cui non esiste stasi, progresso, coppia, almeno non nello stesso livello di realtà. Il surrealismo amoroso europeo s’intreccia con una disamina sul progresso che ha a che fare con l’architettura, l’urbanistica, la capacità delle immagini di sorvegliare, testimoniare, fare memoria. Si finisce con l’instaurare miracolosamente una parabola , semplice ma struggente, sul ciclo dell’amore, della perdita della rinascita. Peccato per la battuta d’arresto, ma rimane godibile.
Recensione a cura di: Margherita Montali.

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Trivia
- Ri-attuazione del mito surrealista e delicata
- Paula Beer lascia il segno a ogni scena
- La città di Berlino, tra passato e futuro
- Melodramma nel senso più alto del termine
- Regia pulita e lineare, ma capace di andare a fondo
- Refrain e rimandi interni ben calibrati
Goofs
- Ermetismo troppo ermetico
- Battuta d'arresto nella seconda parte
- Richiede allo spettatore un alto livello di concentrazione
- Alcuni punti della sceneggiatura appaiono più oscuri