
Space Sweepers
Regista
Jo Sung-hee
Genere
Avventura , Azione , Commedia , Drammatico , Fantascienza
Cast
Song Joong-Ki, Kim Tae-ri, Seon-kyu Jin
Sceneggiatore
Jo Sung-hee
Produttore
Bidangil Pictures
Durata
136 min.
Offerte
Data di uscita
5 febbraio 2021
Che il cinema sud-coreano stia diventando sempre più influente nel panorama filmico contemporaneo è senza dubbio un piacevolissimo dato di fatto. Uno sviluppo squisitamente repentino – che abbiamo già avuto modo di analizzare in apertura all’analisi dello splendido Burning (2018) di Lee Chang-dong – che rischia di entrare in rotta di collisione, sportivamente rivaleggiando, con l’oramai adagiato cinema occidentale. Volenti o nolenti, il cinema asiatico sta pian piano affinando le sue capacità produttive, restando al passo con la migliore effettistica hollywoodiana. Se fino a qualche anno fa pellicole del calibro di The Host (2006) di Bong Joon-ho, da un punto di vista peculiarmente visivo, nonostante il loro immenso valore artistico-linguistico, mostrassero il fianco ai VFX d’oltreoceano, oggi come non mai il confine divisorio è quanto più labile. Non solo pellicole quale quella presa in esame quest’oggi sono in grado di competere con i migliori blockbuster americani – quali ad esempio, uno tra tutti, il blasonato Star Wars – ma anche, e lo possiamo affermare impettiti ed inorgogliti, vincere a mani basse. Al costo di risultare sicuramente provocatori ed involuti, Space Sweepers, l’opera analizzata in questa sede, si configura dalle sue primissime battute come uno dei più interessanti film sci-fi post-duemila, ponendosi ben al di sopra, anche e soprattutto a livello visivo, del pessimo L’Ascesa di Skywalker. Peccato tuttavia che l’idillio non duri troppo, e l’opera di Jo Sung-hee si vada a perdere soprattutto nell’ultimo atto. Un film agrodolce e derivativo con l’ingrato quanto orgoglioso compito di fungere da apripista, nei riguardi del cinema coreano tutto, al panorama fantascientifico mondiale, e proprio in virtù di ciò ancora acerbo. Un lavoro tuttavia da apprezzare e supportare, un barlume di speranza per il cinema di genere extra-statunitense tutto.
Quando Okja incontra Star Wars
Nell’anno 2092 il pianeta Terra è ormai al tracollo. Le risorse sono esaurite, l’atmosfera deteriorata, l’aria irrespirabile e l’inquinamento ha decimato la flora e la fauna. Al fine di far sopravvivere la razza umana, il magnate James Sullivan, CEO della UTS Corporation, ha fatto realizzare una stazione orbitante, rinominata Eden, cui solo alcuni sparuti e prescelti uomini possono accedere, inasprendo l’archetipica faida tra più e i meno abbienti. I suoi progetti a lungo termine prevedono, tra le altre cose, anche una futura colonizzazione marziana – non del tutto dissimile da quella vista in The Martian di Ridley Scott – a partire da una rutilante e lussuriosa fertilizzazione del pianeta rosso. Ciò che gli ignari abitanti del suo paradisiaco sistema non sanno, è che dietro la pirandelliana maschera di padre amorevole si cela uno spietato uomo d’affari spinto da una morale corrotta e deviata, dalle tinte stereotipiche da classico villain dei cartoni, complice un’interpretazione eufemisticamente sopra le righe da parte di Richard Armitage.
In una vera e propria distopia dalle mentite parvenze utopiche, ove il capitalismo più radicale e insalubre degenera in un totalitarismo militarista a discapito degli indigenti, un gruppo di modesti Space Sweepers, a bordo dell’astronave Victory, incaricati, come altre unità, di recuperare detriti spaziali al fine di racimolare qualche rimasuglio salariale, cercano di sopravvivere come possono alla fame e ai debiti. L’equipaggio della navicella, composto dall’ex comandante UTS Tae-ho (Song Joong-ki), dall’ingegnere e re della droga Tiger Park (Jin Seon-kyu), dalla “terrorista” Jang (Kim Tae-ri) e dal robot Bubs, viene ben presto messo in difficoltà da un’imprevisto tanto fortuito quanto, al contempo, sventurato: durante il recupero di una fruttuosa navetta si accorgono di aver, loro malgrado, una bimba di sette anni a bordo. Fin qui nulla di particolarmente preoccupante, se non fosse che la piccola in questione altri non è che una pericolosissima androide antropomorfa dall’inimmaginabile potere distruttivo, sfuggita alle grinfie di una cellula terroristica denominata Black Fox e ricercata con ogni mezzo dalle forze militari UTS. Per i quattro si pone finalmente davanti l’occasione di una vita: richiedere un cospicuo riscatto all’organizzazione terroristica per saldare ogni debito e vivere, finalmente, in totale serenità. Ciò con cui non hanno fatto i conti sono tuttavia le forze UTS che ben presto si mettono sulle loro tracce, dando il via ad una space opera derivativa e a tratti poco coraggiosa, non in grado di compiere scelte azzardate e drastiche, assecondando senza riserve le aspettative di un pubblico fin troppo abituato ai lieto fine e ai plot armor. Un’opera che per quanto interessante anche e soprattutto a livello tematico, risulta a tratti dispersiva ed grossolana, trattando ampliamente la questione ambientalista, comune a un gran numero di produzioni sci-fi post-duemila (basti pensare ad Okja del connazionale Boon Joon-Ho), ma tralasciando le conseguenze socio-economiche della politica UTS.
Premettiamo che il tema sociale è sì presente fin dalle prime battute, ma avremmo tuttavia gradito un maggiore approfondimento, soprattutto visivo ed iconografico, sulla nefanda disparità che dilaga tra i coloni spaziali. La macchina di presa esita a mostrarci i bassifondi – sempre edulcorati e ben lontani dallo squallore che ci aspetteremmo di vedere – proponendoci a tutti gli effetti una società dal retrogusto cyberpunk che cozza con la millantata e verbalmente evocata miseria più infausta. Una scelta sicuramente dettata dal tono spesso vivace e fanciullesco del film che tuttavia mal si accompagna con il contesto filmico cui la pellicola vuole alludere. Un film a tratti troppo poco crudo, che avrebbe necessitato di una maggiore veemenza stilistico-visiva per far veicolare nel migliore dei modi il messaggio di fondo. A supportare ed avvalorare questa nostra critica interviene anche la discutibile scelta di non mostrare quasi mai, se non in alcune brevissime e rarissime sequenze, le condizioni di vita dei privilegiati abitanti di Eden, la stazione orbitante dal deciso e citazionistico sapore retrò. Senza solidi termini di paragone lo spettatore non è dunque in grado di stabilire con assoluta certezza, su un piano puramente visivo, il gap abissale tra i due poli, finendo per pensare che, in fin dei conti, questi “ricchi” non siano altro che ircocervi.
Nonostante queste non trascurabili problematiche, Space Sweepers rimane comunque godibilissima, complice un ritmo narrativo incalzante e mai altalenante, e un trama che, per quanto lineare e dal sapore di “già visto”, riesce a catturare fin da subito lo spettatore, nella sua lunga quanto fuggevole durata, in un bagno di emozioni dalla fortissima anima post-moderna. Un melting pot della pop culture, che mescola da Guerre Stellari a Cowboy Bebop, da Firefly a Star Trek, trovando un interessante parallelo nell’eterogeneità, in pieno stile Okja, del cast – non sempre stellare – internazionale e multilinguistico.
Comparto tecnico
Tecnicamente parlando, Space Sweepers è un gioiellino donatoci da quest’infausta annata. Un film registicamente invidiabile che trova nella fotografia e nella scenografia i suoi punti di forza, grazie anche ad un comparto VFX di tutto rispetto. Un’opera in grado di cambiare repentinamente il tono visivo senza tuttavia far percepire alcuna dissonanza o stonatura all’occhio dello spettatore, anche quello più attento. Dai colori vivaci e accesi dei lussuriosi e artificiali paradisi naturalistici, passando per le tinte retro-futuristiche delle unità abitative di Eden e i contrastanti, cupi e freddi sobborghi cyberpunk, fino ad arrivare agli spettacolari cromatismi dello spazio più profondo o le sabbiose sfumature di una Terra morente, Space Sweepers immerge lo spettatore in un microcosmo variopinto e mai banale, incapace di stuccare anche l’esteta più esigente.
La regia di Jo Sung-hee, dal canto suo, non eccede mai in inutili barocchismi visivi, pur toccando vette di maniera mai involute e sempre ben contestualizzate e giustificate. Peccato solo per un montaggio che, per quanto incalzante, si perde fin troppo spesso nelle fasi più concitate, facendo perdere allo spettatore il focus ed il senso dell’azione a schermo, avvicinandosi pericolosamente al ritmo forsennato e anti-cinematografico delle pellicole di Michael Bay. Una spiacevole sensazione che non possiamo in alcun modo perdonare, nonostante la magniloquenza della messa in scena tutta.
Commento finale:
Space Sweepers è un’opera di indubbio interesse, impreziosita da una mise en scène – perdonate il gioco di parole – stellare. Un film tanto registicamente sobrio quanto all’effettivo visivamente spettacolare e manieristico. Una pellicola dalla magniloquente resa estetica, complice una fotografia a dir poco meravigliosa ed omogenea nella sua folle eterogeneità. Peccato solo per una sceneggiatura a tratti debole, eccessivamente derivativa e troppo poco approfondita a livello tematico (come ad esempio la questione della sessualità di Bubs), e per un villain, James Sullivan, troppo poco presente ed eccessivamente stereotipato nei suoi eccessi d’ira (non giustificati, tra l’altro, a livello narrativo). Il discutibile montaggio, infine, pur non affossando la nostra valutazione finale, non può di certo passare inosservato come uno dei più grandi difetti di una produzione che, speriamo, riesca, nonostante tutto, ad aprire le porte della fantascienza più blasonata alle esperienze filmiche asiatiche.
Recensione di: Giorgio Fraccon.
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Trivia
- Visivamente spettacolare
- Registicamente lodevole
- La tematica ambientale è ben integrata
- Ottimo ritmo
Goofs
- Montaggio a tratti caotico e poco intellegibile
- A tratti narrativamente incompleto e prevedibile
- Non sviscera allo stesso modo tutti i temi
- Avremmo gradito un focus maggiore sulle disparità sociali