ma rainey's black bottom
7,1/10

Ma Rainey’s Black Bottom

Regista

George C. Wolfe

Cast

Viola Davis, Chadwick Boseman, Glynn Turman

Sceneggiatore

Ruben Santiago-Hudson, August Wilson

Produttore

Netflix

Durata

94 min

Offerte
Data di uscita

18 dicembre 2020

Ambientato nel 1927 in quel di Chicago, racconta la storia di una cantante soul, Ma Rainey, definita la leggendaria "Mother of the blues".

Ma Rainey’s Black Bottom, il film Netflix candidato agli Oscar

Il 2020 ha portato tragici cambiamenti e grandi adeguamenti. In un anno in cui tutto il mondo è dovuto scendere a compromessi, lo stesso ha fatto l’Academy, permettendo, per la prima volta nella storia, a pellicole non uscite nelle sale di gareggiare per il premio più ambito del panorama cinematografico. È proprio questo il caso di Ma Rainey’s Black Bottom, film originale Netflix disponibile sulla piattaforma.

Ma Rainey's Black Bottom

Scritta dal drammaturgo afroamericano premio Pulitzer Auguste Wilson, Ma Rainey’s Black Bottom è la seconda pièce del ciclo di Pittusburg. Dieci opere, ognuna ambientata in un’epoca diversa, ma tutte con come temi centrali la popolazione nera, l’identità razziale e la discriminazione. Denzel Washington aveva già portato sullo schermo, nel 2016, Barriere, il terzo “capitolo” del ciclo. Per Ma Rainey’s Black Bottom veste solo i panni del produttore. Il suo obiettivo è mettere su pellicola e schermo tutte le opere del ciclo di Wilson, cavalcando la tendenza di questo periodo storico che vede il “black cinema” sotto lo sguardo e l’attenzione di tutti. Meritatamente, si può dire.

Il razzismo raccontato da chi lo ha vissuto

1927, una band composta da musicisti afroamericani aspetta Ma Rainey, la cantante blues del momento, per incidere su dei vinili la sua potente e unica voce. La band è lì che attende, in quella stanza spoglia e fatiscente del palazzo suntuoso che appartiene all’etichetta discografica. Ma Rainey è la diva, colei che tutto può. Ogni sua richiesta e capriccio vengono assecondati “dai bianchi” perché da lei dipende la riuscita del progetto. Da lei dipende la quantità di soldi che riusciranno ad incassare. La band, accessoria, è trattata in maniera totalmente diversa. Consapevoli della loro posizione passiva, a tratti rassegnati da essa, i musicisti discutono tra di loro. Parlano di musica, della loro esperienza con i bianchi, dell’esistenza di Dio. Soprattutto, ognuno di loro racconta il razzismo, vissuto sulla loro pelle o narrato da altri, in un alternarsi di dialoghi serrati e brevi monologhi. Quest’ultimi, per la loro intensità e significato, segnano i momenti migliori della pellicola, pur risultando ben poco naturali nella messa in scena.

Ma Raineys' Black Bottom

Teatro sul piccolo schermo

Dietro alla cinepresa, infatti, c’è George C. Wolfe, un regista teatrale, qualcuno che di certo, l’opera originale, non solo la conosce perfettamente, ma le riserva quasi un timore reverenziale. E forse proprio per questo, in Ma Rainey’s Black Bottom, c’è qualche errore di valutazione nella trasposizione da opera teatrale a opera cinematografica. Già dal primo scambio di battute che avviene tra la band nella sala prove, si avverte un’innaturale lunghezza, un botta e risposta trascinato, una sensazione di claustrofobia. Non che non sia possibile incentrare un’intera pellicola su dialoghi e soltanto un ambiente, Carnage di Polanski e La parola ai giurati di Lumet sono giusto due esempi di come questo sia possibile. La chiave di svolta sta nel rendere i dialoghi un botta e riposta naturale, privandoli di retorica e didascalismo, sta nel giocare con gli spazi per renderli sfaccettati, potenzialmente infiniti. In Ma Rainey’s Black Bottom questo non accade. Soprattutto le conversazioni, nel tentativo (ammirevole) di essere risaltate, di far emergere la loro potenza e risonanza, paiono artefatte, estremamente teatrali. Quando Boseman racconta della sua infanzia ci si aspetterebbe quasi che un cono di luce lo illumini dall’alto. Il racconto è straziante, la performance ottima, ma la resa artificiosa.

Viola Davis nei panni della madre del blues

Niente di tutto ciò può essere attribuito alla recitazione, che risulta uno dei punti forza della pellicola. Viola Davis conferma, ancora una volta, di essere una delle migliori attrici in circolazione, anche troppo poco sfruttata, viste le sue capacità. Anche in questo film dispiace che il suo carattere indisponente, ma magnetico, appaia per così poco tempo. I suoi playback sono altamente credibili, il suo sguardo triste e fiero è ipnotico, esaltato dal pesante trucco nero che le circonda gli occhi. Non altrettanto riuscita l’imbottitura realizzata per rendere il fisico dell’attrice più simile a quello della cantante. Basta fare un briciolo di attenzione in più per notare il fastidioso punto in cui finisce Viola e inizia la morbida armatura che indossa.

Ma Rainey's Black Bottom

L’ultima interpretazione di Chadwick Boseman

Ha, invece, la sofferenza impressa sul viso, Chadwick Boseman. Gli occhi vivaci, le gambe sciolte, ma scheletriche e fragili. È difficile guardare il film senza notare la malattia che pian piano lo stava divorando: l’attore è venuto a mancare poco dopo la fine delle riprese a causa di un tumore al colon. Boseman regala un’ultima performance lodevole: Levee è un personaggio tormentato, sbruffone ed ambizioso, in costante ricerca di redenzione. Boseman si dimostra ancora in pieno controllo di quell’involucro ossuto che sembra non appartenergli: il meglio lo dà con il linguaggio del corpo, mentre suona con entusiasmo, balla, come spezzato, si infervora, come posseduto. Ci lascia con la spiacevole consapevolezza di aver perso un attore che poteva ancora dare molto, che era solo agli inizi della sua carriera. La sua candidatura (e probabile vittoria) si presenta come una finestra su quello che sarebbe stato il suo verosimile futuro di attore largamente premiato.

Ma Rainey's Black Bottom

Il blues come cultura, il blues come politica

Ma Rainey’s Black Bottom si apre a ritmo di blues e si chiude allo stesso modo, ma non può dire di far della musica il suo tassello principale. Non che questa sia marginale, anzi, ma è discussa e portata all’attenzione per la sua valenza politica e culturale, più che artistica. Il blues è nato per essere cantato da una voce nera e la voce di Ma Rainey sembra la più adatta di tutte. Ma è solo quello che vogliono da lei, la sua voce. Gli artisti neri diventano di interesse dei bianchi nel momento in cui inventano un genere nuovo o quando possono essere utilizzati per vendere e arricchirsi. Levee rincorre questa parvenza di accettazione con foga. Ripete di voler far ballare i bianchi, come se questo fosse il passo finale per la sua inclusione in un mondo che tanto fa per allontanarlo. Ma Rainey sa già che non basta e che non verrà mai riconosciuto agli afroamericani il loro contributo non solo alla musica, ma alla cultura di un paese intero. Il blues racconta la storia di un popolo che è stato soppresso e ha sofferto, a cui viene riconosciuto il talento e la bravura, ma non il rispetto e i diritti. Un popolo a cui non è stato dato niente, ma tolto molto. In quel finale amaro, in cui la musica non diventa un punto di incontro, ma un’ulteriore privazione, c’è tutta l’essenza del film. Più che in tutte le parole che i personaggi hanno pronunciato.

Ma Rainey's Black Bottom

Commento finale

Non si può certo dire che Ma Rainey’s Black Bottom sia un brutto film, ma è un’opera estremamente lineare, confezionata con pignoleria e la tipica estetica di Netflix, talmente perfetta da risultare fastidiosa. Avrebbe forse giovato di qualche sbavatura, di qualche immagine sporca e cruda, questo film che tanto è incentrato sul marcio di una cultura. Il risultato finale risulta artefatto, anche se non si può non apprezzarne i significativi dialoghi e le sentite interpretazioni.

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Recensione di: Matilde Tramacere.

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6.5

Okay

Trivia

  • Chadwick Boseman e Viola Davis guadagnano meritatamente la loro candidatura agli Oscar.
  • Incantevoli le musiche e l'ambientazione di un altro tempo.
  • Non ci stancheremo mai di sentir parlare di razzismo, soprattutto in questo modo.

Goofs

  • Dialoghi e fotografia mancano di naturalezza.
  • Viola Davis appare per un lasso di tempo veramente limitato.
  • La trasposizione da opera teatrale a cinematografica è quasi assente.