
Le Mans ’66
Regista
James Mangold
Genere
Commedia , Drammatico , Storico
Cast
Matt Damon, Christian Bale, John Bernthal
Sceneggiatore
Jez Butterworth, John-Henry Butterworth, Jason Keller
Produttore
Peter Chernin, James Mangold, Jenno Topping
Durata
152 min.
Offerte
Data di uscita
2019
Che cos’è un film biografico? Banalmente lo si può riassumere come “l’adattamento cinematografico di una vita, o di un evento”. Da qua si può identificare o meno quello che è la “fedeltà agli eventi”. Un concetto che ha sempre fatto storcere il naso al pubblico della settima arte. Basti pensare già alla modalità di adattamento da romanzo a grande schermo, anch’essa sempre attaccata il più delle volte dai limiti che un’arte come il cinema conserva da ancora pochi anni. Queste storie vere passano dalle mani di produttori, sceneggiatori, registi stessi; hanno loro la “responsabilità” di renderle il più veritiere possibile, ma non sempre è così. Le Mans ’66 salta tra il romanzo e la biografia, rimanendo però confuso a volte su cosa voglia mostrarci realmente. Dopo una doppia visione rimarrà impresso sicuramente l’impatto visivo e tecnico di una delle pellicole più interessanti di James Mangold, e dell’anno passato.
Una sfida iconica
1963, Henry Ford II, proprietario erede della Ford, chiede a propri dipendenti e collaboratori di trovare nuove formule e idee per i futuri progetti aziendali. Il giovane manager Lee Iacocca torna dal suo capo con la proposta di entrare nelle corse automobilistiche, per scontarsi anche con la concorrenza della Ferrari, da anni sovrana indiscussa delle gare da corsa. Nel frattempo, Carrol Shelby (Matt Damon), a seguito della vittoria nel 1959 di Le Mans, decide di ritirarsi per problemi cardiaci. Inizia così la sua compagnia di veicoli, con cui porterà il suo amico e pilota fidato a vincere la gara di Willow Spring, l’inglese Ken Miles (Christian Bale).
Iacocca (John Bernthal) chiederà proprio a Shelby di costruire le macchine da corsa Ford, in quanto unico americano ad aver vinto Le Mans. Shelby si convincerà soprattutto per l’offerta economica che il manager gli propone. L’ex pilota chiederà aiuto a Miles, l’unico uomo che secondo lui potrà soddisfare le esigenze richieste per sconfiggere Ferrari e rendere Ford la nuova sovrana. La sua natura ribelle e l’indole da cane sciolto non sarà ben accetta dai titolari Ford, portando all’esclusione di Ken come pilota. Le cose cambieranno quando Shelby mostrerà il potenziale di una vettura che solo esperti possono guidare, e quindi coloro che l’ha costruita.
GO TO WAR
“Go to war” è l’imperativo che Ford II usa guardando negli occhi Shelby, quando l’imprenditore darà carta bianca all’ex pilota, aggiungendo di portare tutti i rapporti direttamente a lui, senza passare tra il comitato. Da questa premessa si può notare due cose: guerra e fiducia. Questi due sono i temi più ricorrenti della pellicola. In realtà, anche quelle meno presenti. Sì, perché la guerra come la si può intendere in automatico non c’è, così come la fiducia, quella tra i protagonisti e il coro. Damon e Bale interpretano due piloti e veterani. Sono stati soldati durante la Seconda guerra mondiale, ma per loro la battaglia non sembra affatto terminata. Questa loro indole guerriera, del vincere ad ogni costo, li trasporterà in circuiti complicati, non solo letteralmente. Un film americano Le Mans 66, sul potere che crea potere, sul trionfare sugli altri vivendo in un continuo conflitto.
Un conflitto interno, però.
Fede
L’altro tema che con sapiente visione si nota è la fede. Non quella verso un Dio o più, bensì quel legame fragile tra uomini. Shelby e Miles combatteranno oltre che con le gerarchie e i poteri forti del loro datore di lavoro, anche tra loro. Una fiducia che passa da personaggio all’altro, o per lo meno la promessa di fiducia di un Matt Damon che non sempre contrasterà le decisioni di pura pubblicità e vendita. L’altro legame è chiaramente quello tra Ken Miles e la GT40. Ingegnere e pilota, l’unico in grado di portarla al traguardo.
La grande sfida di Le Mans ’66
Come già accennato nelle prime righe dell’articolo, Le Mans ’66 (in originale Ford v. Ferrari) salta da una sponda all’altra del fiume degli intenti. Si inizia e si finisce allo stesso modo: il motore rombante e la guida spericolata di un pilota in pensione troppo presto. Mangold ci presenta meravigliosamente i personaggi che ci accompagneranno, romanza in maniera oggettivamente buona e piacevole la coppia Damon-Bale, ma lascia in ombra ad esempio Bernthal, attore ormai sempre più richiesto dall’industria, che perde via la strada, dopo un inizio che lo vedeva quasi come “il terzo” sul podio dei vincitori. Per gli altri interpreti vale la pena dire che, per quanto dimenticabili, si muovono nella messa in scena con leggerezza e simpatia.
In tutto questo osserviamo l’evento di Le Mans’66, avvenimento storico per gli USA, che per la prima volta porteranno a casa la vittoria in tutti i tre posti del podio. Un’impresa che anche negli anni seguenti porteranno a buon fine. Gara famosa anche per l’amaro verdetto.
James Mangold ha già giocato con le biografie (Walk the Line), ma soprattutto è il fiero regista di Logan, pellicola forse ancora troppo poco nominata. Un cineasta che sa quello che fa, ma con Le Mans ’66 a volte si confonde su come raccontare. Non è chiarissimo se l’intento del regista sia quello di raccontare un evento storico sportivo o scavare più in profondità su coloro che han vissuto l’evento. Questo rapporto forse equilibrato da un’alternanza dramma-azione in fin dei conti orchestrata discretamente, ma che non basta per lanciare la pellicola tra i più belli del genere (biografico ovviamente).
La buonissima sceneggiatura e la pepata di commedia americana, a volte al limite dello sdolcinato, lasciano spazio al vero, grande punto di forza della pellicola. Le Mans ’66 ha ricevuto quattro candidature agli Oscar (tra cui miglior film), portandosi a casa le due statuette che con gran probabilità meritava di più: Miglior Montaggio e Miglior Montaggio Sonoro.
Nulla toglie che l’atto finale, l’odissea di circa quaranta minuti della competizione francese, sia tra le sequenze più belle, emotive e adrenaliniche che il genere sportivo abbia visto. Non porta all’eccesso come magari aveva fatto Rush di Ron Howard, ma usa un montaggio più cauto, attento e preciso, senza confondere lo spettatore o tramortirlo con luci ed effetti speciali di troppo. Ma Mangold non può che ringraziare Bale per la sua notevole, come sempre, interpretazione. Bravissimo l’attore a mantenere per tutto il film la coerenza di ideali (beffato l’unica volta che fa diversamente) e la simpatia di un uomo (Miles) non famoso quanto avrebbe meritato.
Commento finale:
Le Mans ’66 (disponibile su SKY cinema da questo lunedì) è una pellicola di spicco sia nell’ambito di genere biografico che in quello sportivo. Un film ben attento a moltissimi dettagli, che racconta la storia degli uomini dietro le quinte, ma anche dell’evento stesso che questi uomini han portato a termine. La durata di circa due ore e mezza è reale, ma non percepita. L’ultima opera di James Mangold vi terrà attaccati allo schermo, ma chiederà anche uno sforzo all’orecchio per ricevere al cento per cento la lavorazione tecnica della pellicola. Christian Bale e Matt Damon confermano la loro importanza nella fabbrica dei sogni che è il ferito cinema. Un film equilibrato tra romanzo e biografia, che rischia, anche se in pochi frangenti, a confondere lo spettatore su cosa dovrebbe focalizzarsi. Da vedere con lo stereo al massimo.
Recensione a cura di: Lorenzo Genna.

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Trivia
- La sequenza finale della gara di Le Mans
- L'accento inglese di Christian Bale
- Tutto il reparto tecnico padrone della pellicola
Goofs
- Alcuni personaggi sotto tono e in ombra rispetto ai protagonisti
- Intento biografico a volte in conflitto con quello romanzesco