
Judas and the Black Messiah
Regista
Shaka King
Genere
Biopic , Black Cinema , Drammatico
Cast
Daniel Kaluuya, LaKeith Stanfield, Jesse Plemons
Sceneggiatore
Will Berson, Shaka King
Produttore
BRON Studios, Bron Creative, MACRO, Participant Proximity
Durata
126 min
Offerte
Data di uscita
12 febbraio 2021
Judas and the Black Messiah: il biopic su Fred Hampton e il traditore William O’Neal
Judas and the Black Messiah si aggiunge alla lista di film candidati agli Oscar che rendono la cerimonia di quest’anno di stampo politico, sociale e, soprattutto, black. Disponibile su HBO Max, la pellicola di Shaka King è il primo biopic della storia del cinema a parlare di Fred Hampton, il leader del gruppo delle Pantere Nere, l’organizzazione socialista e rivoluzionaria afroamericana che J. Edgar Hoover definì «la più grande minaccia» alla sicurezza del paese. In un periodo storico in cui nelle nostre orecchie risuona ancora il grido Black Lives Matters, la storia di Hampton richiede attenzione e spazio.
Una storia a due voci
A più di cinquant’anni dai fatti, nessun film era stato ancora dedicato all’attivista che ha combattuto per i diritti della popolazione nera. Un uomo dalle grandi doti oratorie, che si è presto fatto notare per la sua capacità di aggregare, unire, convincere. Ed è stato disprezzato e perseguitato per questo. Hampton viene citato in diversi documentari, ma Hollywood ha sempre taciuto il suo nome, per poi dedicargli spazio in due film diversi nel giro di un anno: ne Il processo ai Chicago 7 è poco più che una comparsa, in Judas and the Black Messiah è il protagonista.
Non l’indiscusso protagonista, però. Una delle migliori intuizioni di questa pellicola è quella di non basare la narrazione unicamente su Hampton, ma affiancargli un secondo punto di vista, che quasi surclassa quello del rivoluzionario. William O’Neal era l’infiltrato del FBI all’interno delle Pantere Nere, un ladro di auto realmente esistito che ha prestato servizio all’agenzia governativa per evitare la prigione. Da una parte, l’uomo politico irreprensibile, che pecca solo nel fidarsi, dall’altro lato, la spia. Il messia con il proprio Giuda.
L’identikit di un traditore
William O’Neal è interpretato da LaKeith Stanfield, ma alla fine della pellicola vediamo anche il volto del vero O’Neal, impegnato in un’intervista rilasciata nel 1989 alla PBS per il documentario Eyes on the Prize II. Così possiamo notare come Stanfield ne abbia colto lo sguardo nervoso, l’espressione fintamente impassibile. Il suo personaggio è divorato da una paura costante, alterna il timore di essere scoperto dalle Pantere a quello di essere mandato in carcere. Non è mai a suo agio, mai tranquillo. Occhi sbarrati, mascella serrata, movimenti rigidi, i suoi primi piani creano tensione. È una persona in trappola, divisa. Aiuta l’FBI, ma si sente anche parte di quel gruppo politico. Alza il pugno, urlando di essere un rivoluzionario e ci crede, nonostante subito dopo si incontri con il suo capo, l’agente Roy Mitchell, per informarlo su ciò che sa.“Either this guy deserves an Academy Award or he believes this shit”, dichiara l’agente. E Stanfield certamente meriterebbe l’Oscar, vista la sua capacità di portare in scena un personaggio complesso, che aggiunge molto a un film che poteva risultare, almeno nella forma, molto ordinario.
Fred Hampton, il messia nero
L’Oscar invece andrà probabilmente a Daniel Kaluuya, che interpreta il messia nero, il predicatore. Se Stanfield comunica molto con il suo respiro pesante e l’andamento nervoso, Kaluuya trova il suo punto di forza nella voce. Pronuncia suoi discorsi (fedele trascrizione di quelli originali di Hampton) con tono insieme solenne e accessibile, con trasporto e contegno. È facile immaginarlo come trascinatore delle folle ed è lampante il grande riguardo con cui si è voluto trattare la sua figura. Hampton gode di una caratterizzazione più che benevola: l’uomo che dice sempre la cosa giusta, che non perde mai la pazienza, che prende le decisioni migliori. Il messia, per l’appunto, tanto che le situazioni familiari e quotidiane in cui è inserito non donano niente alla sua figura. Si empatizza con lui solo quando predica, la restante parte del tempo non gode di particolari sfumature caratteriali. Nel renderlo il “messia”, si è tralasciato molto il lato umano.
Un biopic rispettoso e accessibile
Non c’è molto da biasimare Shaka King per questa visione così rigorosa e rispettosa del personaggio e della sua storia. L’argomento è scottante e il regista lo tratta con i guanti, con parsimonia, ma anche con grande abilità. È indubbio che l’opera seconda di King sia un bel film, capace di intrattenere e interessare. L’insieme è registicamente giusto, tecnicamente perfetto, magistralmente costruito (più che meritata la nomination a Miglior fotografia, anche se poco quotata la sua vittoria). Anche la resa degli eventi è di immediata e facile lettura: in Judas and the Black Messiah nulla deve essere frainteso, perché a tutti deve arrivare il condivisibile messaggio. È un po’ ironico che un film su un rivoluzionario sia così attento ad essere accessibile alle masse, ma non si può dargli una colpa per questo.
Così ci troviamo davanti a una divisione netta tra oppressi e oppressori, tra le rivoluzionarie Pantere Nere e i poliziotti. Anche qui, non troviamo particolari sfaccettature caratteriali. L’FBI, la polizia, J. Edgar Hoover, sono tutti portati in scena come urlatori seriali, intenti a bere birra e pronunciare oscenità e scorrettezze nei confronti dei Black Panthers. Solo l’agente Roy Mitchell, interpretato dal sempre bravo Jesse Plemons, mantiene un atteggiamento composto, calcolatore. I restanti oppositori delle Pantere, i cosiddetti “maiali”, nel loro ritratto, tengono fede al loro soprannome. La pellicola tratta la faccenda con una divisione univoca è marcata tra buoni e cattivi. Non che questo sia sbagliato, ma è di certo una visione semplicistica di un movimento e un periodo storico con risvolti molto più complicati.
Commento finale
È indubbio che ciò che sia accaduto a Fred Hampton sia di grande interesse, che il suo nome debba essere conosciuto, che il suo messaggio debba essere trasmesso. In questo periodo di rinnovato fervore sociale, Judas and the Black Messiah va visto e va ascoltato con attenzione. Un film che si presenta come necessario e che con un po’ più di coraggio e meno rigore sarebbe risultato un gioiello. Con queste vesti, si ferma ad essere “solo” un ottimo film.
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Recensione di: Matilde Tramacere.

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Trivia
- Una storia che andava raccontata.
- Gli occhi nervosi di LaKeith Stainfield e la voce di Daniel Kaluuya.
- I discorsi di Fred Hampton sono quelli originali del rivoluzionario.
- Colonna sonora non scontata.
- Tecnicamente ineccepibile.
Goofs
- Qualche caratterizzazione sommaria.
- Un biopic abbastanza ordinario e fedele agli archetipi di genere.