
Favolacce
Regista
Damiano D'Innocenzo, Fabio D'Innocenzo
Genere
Drammatico
Cast
Elio Germano, Barbara Chichiarelli, Gabriel Montesi, Ileana D'Ambra, Lino Musella, Max Tortora
Sceneggiatore
Damiano D'Innocenzo, Fabio D'Innocenzo
Produttore
Pepito Produzioni, Rai Cinema, Vision Distribution
Durata
1h 38min
Offerte
Data di uscita
11 maggio 2020
Il trionfo alla Berlinale 2020
A due anni dal fulminante esordio con La terra dell’abbastanza, i fratelli D’Innocenzo sono tornati a Berlino con una storia livida e disillusa sulla nostra contemporaneità. Favolacce, in corsa per l’Orso d’Oro, si è aggiudicato l‘Orso d’Argento come Miglior Sceneggiatura alla Berlinale di quest’anno. Il premio è stato consegnato da un divertito Jeremy Irons, presidente di giuria, insieme a Luca Marinelli (Lo chiamavano Jeeg Robot, Martin Eden), Bérénice Bejo (The Artist) e Kenneth Lonergan (regista di Manchester by the Sea). Il film, acclamato da critica e pubblico durante il festival, è finalmente disponibile dall’11 maggio on demand sulle principali piattaforme.
Una ricerca di autenticità che ha coinvolto anche il cast, ben assortito con nomi esordienti e noti del cinema italiano. Oltre a Elio Germano (Miglior Attore della Berlinale per Volevo nascondermi di Giorgio Diritti), Babrbara Chichiarelli (Suburra – La serie) e Max Tortora come voce narrante, compaiono Gabriel Montesi (già visto ne Il primo re di Matteo Rovere) e Ileana D’Ambra. Continuate a leggere e scoprite perché è un film che non potete perdervi!

Favolacce: una breve sinossi
C’è ai giorni nostri, nell’estrema provincia romana tutta campi e villini a schiera, un sobborgo chiamato Spinaceto. Le famiglie che vi abitano vivono una promessa di falso benessere fatta di piscine gonfiabili, feste in giardino e grigliate di quartiere. Ed è qui, durante l’estate torrida, che si intrecciano le vicende di un gruppo di bambini, costretti ad osservare la violenza grottesca che li circonda.
L’inizio di tutto
Favolacce è un coming of age ben formulato, non solo dal punto di vista emotivo e psicologico, ma anche cinematografico. Il film è stato scritto dai due registi appena diciannovenni, i quali hanno dovuto attendere fino ad ora per trovare un produttore disposto a credere nelle potenzialità del film. Il loro film d’esordio, La terra dell’abbastanza, ha costituito appunto un passaggio obbligato per guadagnare la credibilità necessaria a raccontare questa favola nera, prima che fosse troppo tardi.
I fratelli D’Innocenzo – possiamo considerarli ormai i nostri fratelli Coen – si sono ispirati a fatti e personaggi che hanno osservato durante la loro infanzia. I due, nati nel quartiere romano di Tor Bella Monaca e cresciuti tra Anzio, Nettuno e Lavinio per seguire il padre pescatore, rimarcano con fierezza le proprie origini di borgata, che li ha formati in fretta e senza preservativo.
Un habitat brutale: la provincia
Mentre La terra dell’abbastanza raccontava la periferia, Favolacce si svolge in un habitat più insospettabile, ma non per questo meno brutale: la provincia italiana. Ispirandosi all’ampio immaginario della suburbia americana, il film getta nuove luce sulle tensioni più raccapriccianti che si celano dietro la facciata tranquilla delle villette a schiera.
La provincia appare come un universo a sé, più chiuso e antico, con le proprie leggi non scritte. Chi ci è cresciuto lo sa bene. Troppo piccola per essere una città, ma troppo grande per essere solo un quartiere. Da bambino, i suoi confini sono tutto il tuo mondo e, se non stai attento, può fogocitarti al punto che non riesci più a vedere oltre i suoi limiti. La provincia, il paesino, la borgata: diventano questi i tuoi orizzonti. E se sei uno di quelli che fuggono via alla prima occasione, diventi una specie di apolide. In ogni caso, la provincia non ti abbandona mai.
Non è un mondo per bambini
Favolacce è bellissimo perché coglie un momento fondamentale della crescita: l’attimo che precede la perdita dell’innocenza. Quell’istante in cui, ancora bambino, vedi cadere il velo della meraviglia e osservi per la prima volta ciò che ti circonda per quello che è davvero. I contorni di persone e situazioni si trasformano e inizia farti delle domande. Un dubbio ti si appiccica addosso: che non tutto è come ti appare. E poi capisci. Che il mondo può essere un posto di melma e che gli adulti, un tempo fonte di fiducia e protezione, possono essere altrettanto schifosi, grotteschi e violenti.
Si nota subito una battaglia tra il silenzio dei bambini, costretti a corazzarsi per proteggersi, e il rumore degli adulti, che cercano di sfogare la propria frustrazione. Lo sguardo dei piccoli esprime una rabbia trattenuta, ma naturale. Una collera priva di dietrologie sul rancore generazionale, ma legata al pudore. Il piano che svilupperanno insieme, svelato a poco a poco, non è guidato dalla sete di vendetta. Costituisce il segreto di chi si ribella a un clima di cui non vuole far parte. Il clima di un Paese investito dalla paura: di comunicare, di condividere, di esprimere. Anche la paura stessa.
Una fiaba nera tra cronaca e fantasia
Favolacce prende spunto da un fatto realmente accaduto. L’espediente del diario ritrovato e conservato fa sì che l’immaginazione si insinui nella storia, andando a colmare gli spazi bianchi lasciati dalla cronaca nera. I confini del racconto si mescolano e si confondono, diventano malleabili. Alla fine, è quasi impossibile distinguere ciò che è vero da ciò che è inventato. Il racconto si trasforma in una vera e propria fiaba, universale, di quelle che non vorremmo mai ascoltare. Scava più a fondo della semplice messinscena realista, porta a galla quel substrato di polvere e segreti – inconfessati e inconfessabili – che cerchiamo di nascondere ogni volta sotto al tappeto della coscienza. Impossibile non rispecchiarsi almeno una volta in questo pozzo senza fondo.
Una narrazione coraggiosa, che non ha paura di mostrare i fantasmi sotto i letti e gli scheletri dentro gli armadi. Il ritmo procede lento, ma incalzante, senza tempi morti. Le scene sono dirette e fotografate con un‘incisività palpabile, che inchioda lo sguardo su dettagli potenti. Ad esempio il cibo, usato come espediente narrativo per sottolineare i momenti gioiosi così come per seminare il disgusto. Anche il personaggio dell’insegnante è emblematico: un mostro per convenienza, così che il resto degli adulti possa ripulirsi la coscienza. Nonostante il mistero che aleggia sul sobborgo, non ci sono ombre a confondere il sottotesto. La verità è scoperta: chiara e diretta, come la luce abbagliante dell’afa estiva. Si avanza così, inesorabilmente, fino a un finale scioccante in tutta la sua semplice esplosività.
Commento finale
Favolacce dei fratelli D’Innocenzo è un bellissimo, spaventoso pugno nello stomaco. I registi, tramite l’accostamento di situazioni spiazzanti e un perfetto character design, raccontano un nuovo coming of age più sofisticato e sottile. Una storia dalla sensibilità unica, capace di restituire lo squallore del mondo attraverso gli occhi di un’innocenza macchiata che decide di ribellarsi. Un film coraggioso, mai banale, sospeso e sognante come una fiaba, ma allo stesso tempo crudo e terribile. Onesto e coerente fino al finale: un puzzle violento, scioccante, amaro.
Recensione di: Margherita Montali.

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Trivia
- Sceneggiatura ottima
- Storia profonda e sensibile sulla perdita dell'innocenza
- Personaggi tridimensionali e veri
- La provincia italiana come la suburbia americana
- Ricerca di autenticità e spazio all'imprevedibile
- Ritmo lento, ma incalzante
- Cast ben selezionato, con volti nuovi e noti
- Regia e fotografia semplici, dirette, oniriche e potenti
Goofs
- Forse alcune scene troppo lunghe
- Ci vuole un po' per iniziare a mettere insieme i pezzi del puzzle
- Non adatto a chi non ama il cinema italiano (ma potrebbe ricredersi)
- Potrebbe aumentare la vostra misantropia