
Assandira
Regista
Salvatore Mereu
Genere
Drammatico , Folkloristico , Realistico
Cast
Gavino Ledda, Anna König, Marco Zucca, Corrado Giannetti, Samuele Mei
Sceneggiatore
Salvatore Mereu, dall'omonimo romanzo di Giulio Angioni
Produttore
Viacolvento, Rai Cinema, con il contributo del MiBACT, con il sostegno di Fondazione Sardegna Film Commission
Durata
128 min.
La pioggia torrenziale: l’espiazione
Sardegna. Fine anni ’90. Una pioggia torrenziale accompagna il dolore di un uomo che, da spettatore passivo, osserva portare via la salma di suo figlio. Un buio pesto impedisce quasi di capire cosa stia succedendo, ma è talmente efficace da permettere all’immaginazione dello spettatore di comporsi nella testa il suo puzzle iniziale. Le parole fuori campo di Costantino (Gavino Ledda), il pastore protagonista del film, ci seguono come cani fedeli nella notte. Da subito è possibile empatizzare con il dolore puro e genuino che tutto ciò che è fuori campo vuole trasmetterci. L’ambientazione rurale e l’atmosfera notturna e piovosa di una campagna sarda aprono il sipario su Assandira, il nuovo film di Salvatore Mereu, presentato fuori concorso alla 77esima edizione del Festival del Cinema a Venezia. Inquadrature veloci, cupe e angoscianti, assemblate tramite la tecnica di un rapidissimo montaggio alternato, fungono da quadro introduttivo di questo lungometraggio dalla profondità emotiva inaudita.

Il fuoco e l’acqua hanno spento molte cose, ma l’acqua un male come questo non lo spegne. E non spegne nemmeno la vergogna. (Costantino, Gavino Ledda).
Il ruolo della luce
Inizia così Assandira, trasmettendo un dolore autentico, che entra dentro lo spettatore come un ago che trafigge la pelle. Salvatore Mereu decide di scendere in profondità, di andare oltre la superficie canonica degli eventi. Per fare ciò il film rivela la propria collocazione sin dal principio, ponendosi su un piano estetico e ontologico diverso, profondo, esistenziale.
In Assandira il ruolo di luci e ombre occupa una posizione fondamentale. Come accade solitamente nei film “d’Essai”, culturalmente ed esteticamente elevati, le inquadrature buie fungono da simboli per gli eventi sinistri, tristi, negativi. Al contrario, la luce ci indica serenità, pace, positività. Non è una considerazione banale, soprattutto in Assandira, un film particolare anche per le scelte tecniche del regista.
Una costante tecnica, riscontrabile in tutto il film, è data dal particolare filtro luminoso che Mereu ha deciso di utilizzare. I toni freddi e i colori scuri, tendenti all’azzurro, rappresentano un espediente tecnico che consente all’occhio umano di percepire un senso di profondità e di calma, serietà e distacco, come se una totale immedesimazione con i personaggi del film non rientrasse tra i suoi obiettivi.

L’introspezione di Costantino
Assandira è un film dal realismo estremo, paragonabile a quello di Ladri di Biciclette (V.De Sica, 1948) o del Sorpasso (D.Risi, 1962). I 128 minuti in cui si articola il film sono densi di realismo emotivo ed umano e ci consentono di empatizzare con le emozioni del protagonista del pastore Costantino (Gavino Ledda). Il dolore iniziale si dispiega nel ventaglio emotivo di un uomo dai valori antichi (usa le mani per mangiare, consiglia al figlio e alla nuora di conservare il loro denaro..). Ciò che Costantino fa fatica, inizialmente, a metabolizzare è il suo ruolo ad Assandira: il nome dell’agriturismo che suo figlio Mario (Marco Zucca) e sua nuora tedesca Grete (Anna König) vorrebbero costruire sul terreno del padre. L’obiettivo del loro progetto è quello di edificare un agriturismo che abbia come principale attrattiva turistica l’antico mestiere dei pastori sardi. La vita ordinaria di Costantino, quella di pastore, dovrebbe quindi diventare un espediente turistico, mostrando agli altri come si fa il pastore…Il problema è che quella è la sua vita, da sempre, ricca di tradizioni e canti, di abiti locali e di piatti tipici, di solitudine e di bontà d’animo. Il suono delle campane, il verso degli animali che da sempre sono stati i suoi migliori compagni, la luce, i sorrisi di Mario e Grete contrastano con l’iniziale ostilità che Costantino esprime. La diffidenza di un uomo semplice e vecchio. Costantino non è un attore. E non ha intenzione di diventarlo. Ma per il bene di un figlio si sa, tutto è possibile. E così Assandira inizia a prendere vita.

Neanche i bambini ci hanno mai giocato a fare il pastore (Costantino, Gavino Ledda).
La vita solitaria dei pastori: le tradizioni
Assandira è un film di tradizioni: sono pochi i registi che vogliono realmente fornirci una fedele fotografia di una particolare realtà. Mereu è uno di questi, e lo fa in maniera impeccabile: dagli abiti, alla mungitura delle pecore, ai canti, ai piatti tipici. Assistendo a tutto questo avviene, in qualche modo, nella mente dello spettatore, uno scardinamento dai cliché radicalizzati dentro ognuno di noi. Niente mare cristallino, niente hotel lussuosi e niente vips sugli yacht: la Sardegna viene filtrata dagli occhi di Mereu nella sua dimensione più pura, grezza ed autentica possibile. Antichi ruderi, modi di vivere semplici ed essenziali, riti di iniziazione come ad esempio l’accoppiamento tra cavalli (osservato dagli ospiti dell’agriturismo con grande divertimento) o la danza dei pastori sardi con relativi canti. Mungere è il primo grande lavoro del pastore. Ciò che si evince dalla figura di Costantino, oltre al suo carattere particolare, diffidente e buono, schivo ma puro, è il grande rispetto che egli ha per gli animali.

Io sono figlio del latte di pecora (Costantino, Gavino Ledda).
La vergogna
Oltre alle tradizioni, alla figura del protagonista, di suo figlio e sua nuora, è costante l’alternanza con le indagini del magistrato, che parla con Costantino. Il film inizia a ritroso, mostrandoci l’evento finale (l’incendio catastrofico) e poi retrocedendo fino al principio. Lungo la trama, articolata in modo astuto e per nulla scontata, è possibile riscontrare una tematica sempre presente: la vergogna. La vergogna di un uomo che diventa motivo di attrazione turistica ma soprattutto la vergogna di un padre per aver contribuito (tramite l’inseminazione artificale) al fatto di donare una nuova vita al posto di suo figlio. È questo che Grete (Anna König) chiede a Costantino: appurata la mancanza di fertilità del marito, la giovane nuora tedesca chiede al suocero di donare il suo seme per permettere ai due di avere un figlio. Ciò viene inizialmente accolto con scalpore dal vecchio pastore, ma poi accetta, sempre per la felicità del figlio e della nuora. Questo “segreto di famiglia” sarà uno dei motivi della grande vergogna del protagonista. I gesti che Costantino compie sono indici di un’enorme bontà d’animo. Ma la vergogna sovrasta ogni gesto, scrutando, come una presenza assoluta, ogni singolo volto, ogni singolo movimento di camera.
L’idea dell’agriturismo era sbagliata. Tutto il guaio è stato non capire (Costantino, Gavino Ledda).
È una storia di accettazione della vergogna per i gesti compiuti, in contrasto con la propria natura di uomo dai valori antichi e genuini. È una storia di un controverso rapporto tra padre e figlio, che porterà il padre a cambiare le proprie abitudini e consuetudini, in nome del bene che prova per suo figlio. La colpa e la vergogna, per essere rimasto vivo al posto del figlio, per essere in qualche modo il padre di suo nipote, per essere diventato quello che in realtà non è, aleggiano come falchi affamati.

Il fuoco dentro
Nella sequenza finale è racchiusa l’essenza del film e del particolare carattere del protagonista che, di fronte allo scandalo più profano che potesse scoprire, inizia a perdere il lume della ragione, diventando “incapace di intendere e di volere”. La vergogna, per ciò che ha fatto e per ciò che ha visto, lo acceca completamente, portandolo a compiere un gesto di una gravità catastrofica. Ciò per cui Costantino si vergogna è talmente grave per cui egli non riesce neanche a ripeterlo al magistrato “per rispetto dei morti e di chi non è riuscito a nascere”.

Commento Finale
Attraverso le sue impeccabili scelte estetiche e scenografiche, Mereu ci accompagna nei meandri di una Sardegna grezza, antica, densa di cultura e tradizioni folkloristiche. Ciò che scaturisce nello spettatore dopo la visione di Assandira è una riflessione sulle piccole realtà locali, sull’antropologia che le riempie di significato e sull’empatia umana. Il regista è molto abile nel fornirci le diverse sfacettature di un luogo che i media ci hanno sempre dipinto come una sorta di Eden italiano. Grazie alla fedele riproduzione della realtà, ora possiamo riflettere sulle dinamiche socio culturali, affettive e antropologiche che appartengono ad ognuno di noi.
Recensione di:
Francesca Bradascio
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Trivia
- L'osmosi totale degli attori con i personaggi che interpretano
- L'estetica della fotografia
- Il sentimento di empatia che suscita il fim
- L'alternarsi di luci/ombre con valenza simbolica
- La capacità di toccare le corde emotive dello spettatore senza avere la pretesa di farlo
- La genuinità e purezza della sceneggiatura
- La mancanza di ovvietà
Goofs
- A tratti lento
- Non è un film leggero