
American Honey
Regista
Andrea Arnold
Genere
Drammatico , Sentimentale , Women Directors
Cast
Sasha Lane, Shia LaBeouf, Riley Keough
Sceneggiatore
Andrea Arnold
Produttore
A24, Lionsgate
Durata
2h 43min
Offerte
Data di uscita
14 ottobre 2016 (UK)
Un road trip nel cuore dei veri Stati Uniti

American Honey è il primo film girato interamente oltreoceano della regista britannica Andrea Arnold (autrice di Fish Tank, 2009, con Michael Fassbender e già Premio Oscar per il Miglior Cortometraggio con Wasp, 2005). Vincitore del Grand Premio della Giuria a Cannes nel 2016, American Honey è stato osannato dalla critica, ottenendo però un flop al botteghino internazionale. In Italia, dopo un’uscita in sordina nel circuito distributivo indipendente, è ora disponibile su Netflix. A eccezione di Shia LaBeauf (datosi recentemente alla sceneggiatura con il bellissimo Honey Boy) e Riley Keough (la nipote di Elvis Presley), il resto del cast è formato interamente da attori non professionisti. Anche l’esordiente Sasha Lane, nel ruolo della protagonista, è stata notata sulla spiaggia in Florida dove trascorreva lo spring break in compagnia di amici.
Star (Lane) è un’orfana della suburbia costretta a vivere in una famiglia affidataria abusiva. Tutto cambia quando conosce Jack (LaBeauf) e decide di fuggire con lui. Star si unisce al suo gruppo di venditori porta a porta sotto il controllo della glaciale Krystal (Keough), una specie di versione al femminile del Fagin di Oliver Twist. Su un furgone saturo di fumo e musica, lungo le strade del Midwest, Star e Jack si innamorano. Lei ha un sogno nel cassetto e lui i risparmi per realizzarlo, ma il viaggio non è ancora finito. E magari non porta da nessuna parte.
American Honey: l’illusione del Sogno Americano
L’America, la Terra Promessa del latte e del miele. Stando a quanto rivela il personaggio di Krystal, American Honey è un’espressione con cui vengono definiti i ragazzi provenienti dal profondo Sud degli Stati Uniti. Ma il termine nasconde un tratto più insidioso. L’allegoria del Sogno Americano, che attira a sé le speranze degli emarginati come api sul miele fresco. Questo è l’American Dream per Andrea Arnold: una grande illusione collettiva. Una promessa di libertà che tutti inseguono, ma che pochi raggiungono. E sempre a un prezzo troppo alto. Dalla famiglia cristiana la cui figlia preadolescente si esibisce come una stripper, ai ricchi cowboy a bordo di Rolls Royce che grigliano a bordo piscina in mega ville, fino ai prati verdi pieni del sangue dei macelli, l’America si presenta in tutte le sue contraddizioni seguendo la scia di sogni infranti lungo le highways che si perdono all’orizzonte.
La realtà delle mag crews
American Honey prende spunto da un’inchiesta del New York Times, scritta da Ian Urbina, riguardante il fenomeno delle mag crews (qui l’articolo originale). Migliaia di giovani, di diverse etnie e fasce socio-economiche (quelle più basse, ovviamente), indecisi sul proprio futuro, che non vogliono andare al college o – più comunemente – provenienti da famiglie abusive. Ragazzini, praticamente bambini, scappati di casa e aperti a qualunque cosa dia loro il senso di un futuro migliore. Un senso di amore. Formano piccoli gruppi familiari e attraversano il paese, dormendo in posti di fortuna: in auto, per strada, in case abbandonate, in squallidi motel. Senza casa, cercano di vendere vecchie enciclopedie e riviste che nessuno legge più. La Arnold li mostra come un branco selvatico in una giungla d’asfalto, con i propri codici, le proprie regole e le proprie usanze. Solidali tra loro, ma pronti a sbranarsi per avere la parte che gli spetta.
Amore vs. Capitalismo
Nè punk nè hippie, il teen team non volta le spalle al Capitalismo, anzi. Bling is their thing. Vogliono i soldi e li vogliono subito. Frastornati, fluttuanti, sessualmente e psicologicamente indeterminati, i personaggi di American Honey hanno perduto l’intenzione del volo. Lo sa bene Krystal, che sfrutta la devozione del gruppo nei suoi confronti per il proprio tornaconto, in cambio di promesse fasulle. A muovere i ragazzi non è l’ambizione, ma un desiderio che serve soltanto a sbarcare il lunario e ad arrivare a domani, dove tutto ricomincia uguale a ieri.
Il loop è l’ ‘algoritmo di un film che gira a vuoto e si ripete ossessivo infinite volte. Giorno e notte come un mantra, si ripropongono gli stessi gesti, sciupando il tempo e mancando sempre la via di fuga. Per Star è l’amore che come il vento la coglie di schiena. Oggetto assoluto del suo desiderio è Jack, uno Shia LaBeouf che trova finalmente il ruolo capace di contemplare e comprendere le sue tensioni. Il film interroga la protagonista sul suo sogno d’amore, che la Arnold coltiva tenace in un posto senza speranza, l’hopeless place cantato da Rihanna.
La forza della Natura: la scoperta di sé
Spazi aperti senza fine: campi, praterie, piantagioni, foreste… La Natura è un elemento ricorrente nella filmografia della Arnold. Una forza invisibile, ma dalla potenza palpabile, pronta a deflagrare da un momento all’altro. Un elemento che affiora sotto vari aspetti: desiderio, violenza, spontaneità, libertà, nudità, crudezza e crudeltà.
La stessa crew, come dicevo, si comporta come un branco. Ed è proprio nella Natura che si compie il percorso di formazione di Star. Man a mano che la sua consapevolezza aumenta, le città e l’asfalto lasciano spazio a boschi, prati, alberi, laghi. Qui, dove non c’è traccia della società, Star e gli altri emarginati possono essere i re della Terra. Un’utopia dalle tinte forse troppo ingenue, ma che funziona visto che si parla di ragazzini cresciuti troppo in fretta. La regia magistrale si muove nella realtà aprendo parentesi magiche (l’incontro di Star con l’orso) o scabrose (il sesso a pagamento davanti al pozzo di petrolio). Ogni elemento tecnico-visuale (macchina a mano, sound design, formato, fotografia, dettagli) amplifica le emozioni di Star – e dello spettatore – mentre la vediamo aggirarsi, persa e confusa, in un ambiente che la isola e, allo stesso tempo, la ingloba. Il lirismo di Andrea Arnold si conficca come una spina tra l’America del mito e quella contemporanea.
American Honey: commento finale
Amrican Honey è una poesia visiva che ci parla di un’America senza grazia. Gli esclusi della mag crew sono i cugini prossimi degli spring breakers di Harmony Korine, ma senza lo stesso cinismo psichedelico. Fotografia sublime, satura e intensa, dai toni caldi a quelli più freddi, a rispecchiare il modo con cui i giovani protagonisti vivono le proprie passioni e tormenti. Ribadendo la fibra sociale del suo cinema, la Arnold riduce col formato 4:3 la mitologia della sottocultura americana per concentrarsi sui personaggi, i loro volti, i loro corpi, la maniera in cui vibrano, amano, godono. Nonostante il lirismo a tratti ingenuo ma funzionale e il white trash cliché – tranne Star, tutti i ragazzi rispecchiano il modello WASP (White Anglo-Saxon Protestant) in versione squatters – American Honey sembra destinato a diventare una pietra miliare del cinema indie del nuovo millennio.
Recensione di: Margherita Montali

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Trivia
- Regia lirico-documentaristica ben calibrata, poetica e potente
- Fotografia pazzesca
- Personaggi ben costruiti
- Crudezza: nella storia, nei dettagli, nei dialoghi....
- Denuncia il capitalismo 2.0
- Un viaggio nella vera America
- Shia LaBeauf perfetto nella parte
- Sasha Lane esordiente sublime
Goofs
- White trash cliichè
- Tre ore di film potrebbero non essere facili da affrontare
- Non riesco a trovare altri difetti, uffa!