Death Note. Un film su commissione che nasconde una precisa autorialità. Wingard realizza un prodotto discreto, difettoso ma efficace.
Netflix ha finalmente rilasciato il live action dedicato al manga “Death Note“. Prodotto riuscito?
Voi umani siete così interessanti
Premessa narrativa:
Light è uno studente brillante che un giorno vede cadere dal cielo un quaderno, il Death Note per l’appunto, che ha il potere di uccidere le persone solo scrivendone il nome sulle pagine.
Commento:
Traballante quanto vi pare. Problematico, quanto vi pare. Sbrigativo, quanto volete. Ma accostarlo ad un film come “Dragonball Evolution“, lo trovo alquanto strampalato.
Il “Death Note” targato Netflix, diretto da Adam Wingard (“You’re Next“, “The Guest“, “Blair Witch“) è una gran bella sorpresa estiva che pecca, a tratti, nell’essere molto sbrigativo. Storie d’amore, dovute spiegazioni relative al libro vengono sviluppate molto banalmente. Nella prima parte, però, non mancano le cose positive. La seconda parte è decisamente più interessante, più evocativa con alcuni momenti da incastonare nelle meraviglie di questo 2017 cinematografico (la sequenza sulla ruota panoramica).
Il film tanto conclamato “su commissione” ha incredibilmente molti momenti, molte sfumature che mi hanno ricordato il cinema di Wingard (quello prima dell’orripilante capitolo della serie di Blair Witch). Ritorna il Wingard degli esordi, quello di “Pop Skull“, di “A Horrible Way To Die“. Il “Death Note” di Netflix incredibilmente è un’opera molto più vicina al cinema del cineasta rispetto al manga d’origine. Si può considerare il tutto come una visione intimista che, personalmente, mi ha molto incuriosito sin dall’inizio.
Giochi mortali e giochi cinefili
Quando mi relaziono ad un adattamento, preferisco sempre vedere la relazione che l’autore ha con il materiale letterario, non tanto la storia in sé.
Il Light outsider di Nat Wolff, tanto osteggiato, tanto detestato, funziona. Assoluto, invece, Willem Dafoe, meno Ryuk come creatura. La CGI del demone è molto brutta. Plauso alla colonna sonora eccezionale (come sempre in un film di Wingard).

Presente all’interno anche un intrigante gioco di cinefilia che si muove tra botole profonde che ricordano “La Setta” di Michele Soavi e “Phantasm” di Coscarelli alla TV.
Tre cose le ho trovato molto sofisticate ma non pienamente approfondite. Per prima cosa, la ricerca del piacere sessuale tramite la morte. Molto cronenberghiano, molto morboso ma rimane un tema fermo quasi alla superficie. Sarebbe stato un punto di vista piuttosto intrigante da approfondire. Per secondo, la corruttibilità dell’incorruttibile Elle (Lo Chiamavano Elle Robot), proponendo una versione del personaggio, più terrena, molto curiosa ed affascinante. Per terzo, il rapporto padre-figlio tra Light e suo padre e tra Elle e Watari.
Light ed Elle
Light vuole fare quello che fa il padre, ma meglio, sostituendosi a lui, per poi capire che non è così semplice prendere una scelta, in quanto la vita non è bianco o nero. Elle non può fare a meno della guida di Watari: egli rappresenta tutto ciò che lo riporta a un mondo idialliaco. La ninna nanna, il gelato, le caramelle, tutte privazioni dell’infanzia passata per diventare il detective migliore di sempre.
Non è un caso se Light cambia di atteggiamento quando il padre è nel mirino. Non è un caso se Elle impazzisce quando è Watari nel mirino e la sua vita è in pericolo. Questo dimostra quanto i due ragazzi siano simili e fondamentalmente buoni. Il loro incontro è emblematico. Kira è qualcosa di diverso, qualcosa di scevro dai due ragazzi. Kira è un simbolo tendente al divino. Loro due, invece, sono una coppia di esseri umani con tutte le incertezze e i dubbi del caso. Quanto gli ho voluto bene a questo “Death Note” targato Netflix! I Dragonball Evolution sono altri. Ed anche troppi.