Il meglio del noir seconda la visione di 7 grandi registi
Breve storia del noir classico
L’evoluzione del noir è una delle parabole più affascinanti della storia del cinema. Nasce sotto l’influenza della letteratura “hard-boiled” americana degli anni Trenta e Quaranta, da cui il Cinema eredita personaggi ed ambienti avvolti in una deriva esistenziale e sociale. Dal punto di vista figurativo invece il riferimento è senz’altro la lezione tedesca dell’espressionismo.
Produttivamente muove i primi passi negli anni Quaranta. Si parla di produzioni americane a basso budget, ma ben presto la sua portata commerciale si espande. Edward G. Robinson, Humphrey Bogart, Lauren Bacall, Rita Hayworth rendono i personaggi ricorrenti del noir dei veri e propri (anti)eroi del pubblico. Parliamo di investigatori trasgressivi, uomini solitari tormentati dal passato, delle irresistibili femme fatale o di donne alla ricerca dell’indipendenza.
I grandi registi del periodo classico (Lang, Wilder, Welles…) sono in grado di raggirare gli ostacoli della censura. Mettono in scena la violenza e l’erotismo che invade la quotidianità dell’uomo comune ed offrono un prodotto artisticamente elevato ed appetibile per vari strati di pubblico. Il vero successo del noir risiede proprio nella possibilità di raccontare storie che mescolino suggestioni differenti tramite un impianto visivo di alto livello. Ciò conferisce al genere forte importanza artistica.
Il cambio generazionale
“L’infernale Quinlan” di Orson Welles esce nel 1958 e convenzionalmente viene considerato la pietra tombale del noir classico.
Il genere però ha conquistato la stima dei giovani cineasti europei. La Nouvelle Vague francese in particolare assorbe le atmosfere ossessive e pessimistiche dei film americani e, a partire dagli anni Sessanta, i registi sfruttano le variegate potenzialità espressive del noir. Le piegano ai propri nuclei tematici e peculiarità estetiche. Nascono così gli eterogenei filoni del post noir e del neo noir anni Ottanta.
Oggi presentiamo un film per decennio. Sette opere con cui i grandi del Cinema hanno portato avanti una precisa poetica facendo leva sugli stilemi del noir classico. Il genere oggi non ha un preciso collocamento: spesso pervade gli ambiti più disparati (thriller, drama, western, commedia…) ma la fascinazione per la tradizione continua a manifestarsi e ad ispirare ciclicamente intere generazioni di filmmaker.
L’amore è più freddo della morte (1969) – Rainer Werner Fassbinder
L’esordio di Fassbinder ha la straordinaria qualità d’incarnare appieno lo spirito del nuovo cinema europeo degli anni Sessanta. Gli schemi del noir hollywoodiano vengono rielaborati con sensibilità visiva e gusto citazionistico ereditati dai coevi maestri francesi. Non caso il referente è “Fino all’ultimo respiro”.
La storia del triangolo fra due uomini e una donna assume risvolti riconducibili ai cliché del genere, ma riesce anche ad essere terreno fertile per la singolare fantasia creativa dell’autore. Il giovane cineasta trasferisce su pellicola le sue esperienze col mondo del teatro sperimentale giocando coi codici linguistici-figurativi e gli stili di montaggio del Cinema.
Il “gioco” però è parziale. Ciò che interessa al regista tedesco è il rapporto di padrone e vittima che si sviluppa tra gli uomini, condizione che investe gli schemi della società borghese e la stessa esistenza umana. I tre improbabili gangster sono i primi di una lunga lista di falliti che ricercano nella sopraffazione e nella (auto)sottomissione un rifugio dallo squallore della vita quotidiana in tutte le possibili forme.
Il lungo addio (1973) – Robert Altman
Il leggendario detective Marlowe, partorito dalla penna di Raymond Chandler, ha trovato nel divo Bogart il volto ideale ne “Il grande sonno” (1946). Il regista americano ripropone questa figura in un labirinto ironico e dissacrante. Il nostro eroe si trova al centro di un complesso mistero in cui sfilano poliziotti oppressivi, amici di cui forse è meglio non fidarsi, scrittori alcolizzati e le immancabili femme fatale.
All’età di 48 anni Robert Altman ha già vinto la Palma d’Oro con la satira bellica “M*A*S*H”. Ha inoltre rielaborato il genere western ne “I compari” e realizzato un film fortemente europeo con “Images”. Il suo stile magniloquente si riversa in una divertita e malinconica rivisitazione del noir, giustificata anche dalla presenza di Sterling Hayden (“Giungla d’asfalto”, “Rapina a mano armata”).
Il film mostra una Los Angeles che sembra quasi un set cinematografico vivente, enfatizzata dall’eccezionale fotografia e da interpretazioni magistrali. Altman cavalca il personale interesse per la sperimentazione sonora e l’innata abilità nel gestire storie corali in favore di uno sguardo riflessivo su una Hollywood che non esiste più, ma anche sui mutamenti socio-culturali dei giovani americani postsessantottini.
Fuori orario (1985) – Martin Scorsese
Gli Anni Ottanta sono la rivincita di questo unico e tormentato regista. Dopo il flop di “New York, New York” sprofonda nella dipendenza da cocaina. Solo grazie all’amico Robert De Niro trova la forza di girare “Toro scatenato” nel 1980. E’ il primo di una nuova serie di capolavori proseguita con “Re per una notte” (1983) ed appunto “Fuori orario”, noir indipendente caratterizzato da una sensuale follia psicologica ed estetica.
Paul Hackett, un programmatore di computer, vive una delirante vicenda nella quale l’incontro con una bella donna si trasforma in qualcosa di sempre più torbido e pericoloso. Il suo ritorno a casa viene però ostacolato ripetutamente dagli ostili abitanti della città di New York. Quella che doveva essere una semplice notte d’amore si trasforma in un vero e proprio incubo.
“Fuori orario” è il film moderno che forse ha maggiormente ereditato dal noir classico quel senso di smarrimento e malessere che si rispecchia nella messa in scena oppressiva dell’ambiente. La Grande Mela viene rappresentata in notturno da Scorsese come un regno pericoloso dal quale è impossibile fuggire come forse mai aveva fatto in precedenza. Inoltre adatta alle convenzioni del genere le innumerevoli femme fatale che il nostro sfortunato protagonista incontra. L’intuizione gli vale il premio della regia a Cannes.
Strade perdute (1996) – David Lynch
David Lynch è il regista di culto per eccellenza. Nato come pittore ha saputo imporre la propria vena artistica e il gusto surrealista all’interno delle strutture dei grandi generi classici americani, tra cui il noir. Si può addirittura dire che il neo noir abbia trovato in “Velluto Blu” (1986) un inarrivabile apice. Ma la poetica lynchiana è solo all’inizio.
Strade perdute racconta di un musicista jazz che viene condannato alla sedia elettrica per aver ucciso la moglie. Tuttavia egli è convinto di essere innocente e all’improvviso nella sua cella si “trasforma” in un ragazzo che viene giustamente reintegrato nella società. Le due esistenze seguono percorsi apparentemente differenti l’uno dall’altro, ma l’evoluzione della storia porta alla luce le inconsce verità del “doppio” protagonista.
Capolavoro sotto tutti i punti di vista. Il film amplifica la visione dark di Lynch nei confronti dell’esistenza umana e dei misteri della mente. La lettura freudiana è la chiave di questa pellicola capace di sollecitare i sensi dello spettatore tramite un plot legato alle dinamiche del noir classico. Erotismo inarrestabile, personalità multiple, un passato misterioso e dei risvolti da gangster movie sono le frecce all’arco del cineasta americano, condite da una varietà cromatica e da un mix sonoro da antologia.
PTU (2003) – Johnnie To
Il cinema di Hong Kong ha vissuto una grande rinascita. Parliamo degli anni Novanta e di una nuova generazione di talentuosi cineasti (Wong Kar-wai il più noto). A metà del decennio Johnnie To e l’amico Wai Ka-Fai fondano una casa di produzione che realizza film di notevole successo di pubblico e critica. Le storie di malavita sono archetipi narrativi con cui il regista rielabora una gran varietà di stili in una visione pessimistica e fatalista della vita.
Un sergente ha uno scontro con una gang locale. Viene picchiato brutalmente e si accorge, una volta rinvenuto, di aver perso la sua pistola. La PTU (Squadra di polizia) aiuta l’uomo a ritrovare l’arma, mentre l’ispettrice Cheng indaga sulla faccenda. Come il precedente Fuori orario la storia si svolge di notte nell’arco di poche ma intensissime ore.
Un po’ “Cane randagio” di Kurosawa, un po’ l’estetica di Sergio Leone e tanto cinema d’azione-noir. La pellicola è un capolavoro di tensione e fascino visivo. La fotografia e i tagli delle inquadrature hanno una bellezza tale da conferire ad ogni sequenza una solennità esemplare ed un piacevole ritmo. Film semplicemente perfetto ed interessante nell’essere un piccolo dizionario di Cinema senza per questo perderne in originalità.
Vizio di forma (2014) – Paul Thomas Anderson
Larry “Doc” Sportello è un investigatore privato di Los Angeles che riceve una richiesta d’aiuto da parte dell’ex fidanzata. Il suo compito è impedire che il nuovo compagno di lei venga internato in un manicomio da parte della moglie e dall’amante. Le indagini si sviluppano in una passerella di situazioni grottesche e personaggi sopra le righe. Il tutto avvolto dal fumo dell’immancabile canna che il lunatico protagonista si gusta quasi in ogni scena.
Paul Thomas Anderson è uno dei nomi di punta della corrente generazione di registi americani. Dallo scoppiettante “Boogie Nights” (1997) al solenne “Il petroliere” (2007) questo piccolo grande genio ha ottenuto il plauso della critica vincendo numerosi premi europei. Ha dato dimostrazione del suo camaleontico estro estetico e della venerazione nei confronti del maestro Robert Altman. C’è molto de “Il lungo addio” in questo noir in acido, psichedelico nella descrizione dei personaggi e nell’evolversi della trama.
Il genere viene omaggiato in molte dei suoi punti cardine già dalla scelta dei personaggi. La vena amorevolmente dissacrante di PTA ribalta tutta la serietà e il machismo dell’eroe. A differenza di molti protagonisti del noir Sportello è un uomo che cerca platealmente di salvarsi dalla solitudine e la sua vulnerabilità fa gola alla misteriosa e bellissima femme fatale. Un Big Lebowski dei giorni nostri. Fuori dal tempo e nostalgico regala agli amanti del Cinema un bellissimo viaggio nel passato… Come canta Neil Young nella scena più bella di “Vizio di forma”.
Qualche consiglio finale…
I film da consigliare sarebbero troppi. Vi lasciamo una piccola lista con altri titoli interessanti, sempre in chiave autoriale post o neo noir:
– Tirate sul pianista (1960), Francois Truffaut
– Bande à part (1964), Jean-Luc Godard
– Gangster Story (1967), Arthur Penn
– Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto (1970), Elio Petri
– Chinatown (1974), Roman Polanski
– Driver l’imprendibile (1978), Walter Hill
– Strade violente (1981), Michael Mann
– L’elemento del crimine (1984), Lars von Trier
– Rosso sangue (1986), Leos Carax
– Pulp Fiction (1994), Quentin Tarantino
– Bound (1996), Andy e Larry Wachowski
– Rainy Dog (1997), Takashi Miike
– L’uomo che non c’era (2001), Fratelli Coen
– L’imbalsamatore (2002), Matteo Garrone
– A history of violence (2005), David Cronenberg
– Il profeta (2009), Jacques Audiard
– Drive (2011), Nicolas Winding Refn
– Enemy (2013), Denis Villeneuve
– Elle (2016), Paul Verhoeven
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