L’attesa di “Godzilla VS King Kong” è ancora lunga. Ma nel frattempo, parliamo di mostri.
Il lucertolone nipponico ha una storia strettamente intrecciata con le radiazioni nucleari che colpirono l’oceano da cui emerse. Radiazioni che, non te lo dicono ma te lo dicono, sono figlie dello Zio Sam. Il vero mostro sono loro ed i samurai raccontano storie di terrificanti radiazioni ai loro figli per farli dormire.
Invece lo scimmione occidentale sta lì, sulla sua isoletta, a farsi i fatti suoi . E’ sempre stato lì. E’ l’ultimo rimasto di una specie di gorilla colossali.
Lo abbiamo trovato… Era già così quando siamo arrivati… Non ne sappiamo nulla.
Ma non siamo qui per parlare dell’ennesima gara a chi piscia più lontano tra Godzilla e King Kong.
Le origini
Torniamo un momento alle origini. Mentre pregustiamo l’immensa spettacolarità degli effetti speciali che la tecnologia oggi permette con un film ignorante come “Godzilla VS King Kong”.
Ritorniamo un momento alle basi, sempre in Giappone. Lì dove è nato il genere dei mostri giganti e cattivi, i così detti Kaiju. I “mostri misteriosi” (ah ma allora in “Pacific Rim” non se li erano inventati!) o Kayjin i “mostri umanoidi” (sapevate che Jet Jaguar, NO non quello di Pacific Rim, ha il volto ispirato a quello di Jack Nicholson?) o Daikaiju i “mostri giganti”.
Perché si parla al plurale?
Godzilla, o meglio Gojira, come avrete capito, non è l’unico mostro che il cinema giapponese ha generato, né il più strano.
Basti solo pensare a Biollante, l’enorme ammasso di piante e fiori pronto a trasformarsi in una specie di drago verde con un manto d’erba.
In tutto questo pantheon c’è sempre stato qualcuno po’ sopra le righe rispetto a tutti i suoi mostruosi colleghi.
Il buffo Mothra, dall’aspetto di un grasso bruco o di una falena colossale. Debutta al cinema come protagonista nel 1961 in una pellicola che porta il suo nome. La direzione è affidata a Ishiro Honda, già regista in “Godzilla” e collaboratore assiduo di Kurosawa.
Mothra
Durante una spedizione su un’ isola una squadra di ricercatori trova due minuscoli esserini dalle fattezze umane. Due piccole fatine che un perfido impresario caratterizzato piuttosto da cani prende con sé ed usa come attrazione da circo.
Pezzo forte dello show delle due fatine è una specie di canzone, una litania composta da una sola parola ripetuta incessantemente, indovinate quale? Mosura (ovvero Mothra).
Questa specie di tormentone estivo nipponico per i primi cinque minuti è anche gradevole da ascoltare. Dopo venti minuti che lo ascolti diciamo che provi dei sentimenti contrastanti. Le due fatine però non possono smettere di cantare poiché stanno invocando Mothra che riposa nel suo uovo, in una specie di tempio, venerato dai nativi dell’isola. L’uovo si schiude e ne esce un gigantesco bruco con il muso di Pumba, che prende il largo con destinazione Tokyo, a nuoto, come diavolo faccia a nuotare non è dato sapere.
Dopo aver fatto il bozzolo nel bel mezzo del casino militare che egli stesso ha causato, ovviamente fregandosene dei missili terra aria e dei carri armati, il mostro si trasforma in una bellissima farfalla. Così pronto alla battaglia parte alla salvezza delle sue damigelle.

Il crudele impresario nel frattempo è fuggito e, ricercato dalla polizia, finirà ucciso in una sparatoria. Un giovane giornalista (che in teoria sarebbe il protagonista ma in pratica non è vero), avendo compreso cosa stia succedendo decide di restituire le fatine alla Falena. Questa, atterrata sull’aeroporto di Tokyo come un aereo, non degnando di uno sguardo i militari e tutti i civili su cui ha seminato morte e distruzione fino a cinque minuti prima, accoglie sulla sua groppa le due irritanti trilli asiatiche e vola alla volta dell’isola maledetta, tornando nel suo uovo. In attesa che vi sia ancora bisogno di lui.
Noi abbiamo Batman, loro hanno Mothra.
Lascia dietro di sé una mattanza di vittime e superstiti che vorrebbero solo prenderlo e cavargli i reni a morsi. Ma nonostante tutto Mothra si merita la nomea di Mostro Buono. Oltre che di unico Mostro sensibile, o forse capace, di un contatto con ciò che noi occidentali chiameremmo “magia”.
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