Twin Peaks. Un ritorno semplicemente entusiasmante. Un capolavoro senza se e senza ma. Lynch è tornato dopo 11 anni di assenza. E’ tornato e regala ancora meraviglie.
Riuscire a recensire le prime due parti (così Lynch vuole che vengano chiamati gli episodi) senza dire praticamente nulla. Ci proviamo.
Finalmente, è tornato “Twin Peaks“. Per chi vi scrive, questo era il prodotto audiovisivo più atteso di questo 2017. Forse Twin Peaks, più in generale David Lynch, è l’unica elemento (cinematografico o televisivo che sia) che osservo sempre con uno sguardo da fan. “Twin Peaks” è una serie che mi appassiona ogni volta che la rivedo. Ed il cinema di David Lynch è uno di quelli che più adoro analizzare e sviscerare nelle sue profondità. Eppure mi sono approcciato con questo revival con la massima accortezza e con mille mila timori e paure di un’altra ennesima “Operazione Nostalgia Canaglia“. La parte fiduciosa del sottoscritto ha trionfato.
Sconvolto
Tuttavia, passate alcune ore dalla visione delle prime due parti che aprono questa terza stagione, continuo ad essere sconvolto. Io sono sconvolto da quello che ho visto! Voi non avete idea! Ma è uno sconvolgimento in senso positivo. Con il ritorno di Twin Peaks, è tornato quel mix di conturbante e d’inquietudine che da tanto tempo bramavo di percepire. Twin Peaks, però, è diventato qualcosa di più.
Non è il ritorno di una serie televisiva. Non è un film lungo 18 puntate. E’ diventato tele-cinema, qualcosa di astratto, di più potente delle versioni precedenti. Di sicuro qualcosa molto anti-televisivo nel panorama televisivo contemporaneo. Non abbiamo assistito al ritorno di una celebre serie tv. Abbiamo assistito ad un’installazione artistica di due ore realizzata da un cineasta (ma prima di tutto pittore) che, dopo “Inland Empire”, è tornato più forte che mai per realizzare due prime parti di stagione veramente fenomenali (non sfugge però la mano di Frost). E se questo è solo l’inizio…
Altro che mera operazione nostalgia concepita per un pubblico di attempati cinquantenni! Scordatevi belle calde tazze di caffè pronte per essere sorseggiate. Scordatevi un affabile Cooper che sorseggia, sorride e dice «Damn good coffee!» messo a caso per farvi uscire la lacrimuccia di nostalgia. Niente di tutto ciò. Le prime due parti della terza stagione di “Twin Peaks” sono un’opera del tutto nuova, fresca, originale, che mostra ben altre prospettive d’inquietudine, in generale altre prospettive per far intendere il concetto di opera d’arte nella contemporaneità.
Le Prime Due Parti
L’occhio della cinepresa che sovrasta le parole. Stiamo dalle parte dei concetti di Greenaway (“perché lasciare il cinema ai cantastorie”). La prima parte è un concentrato di onirismo, d’inquietudine e di ipnotismo. Questo già piuttosto evidente con la sigla. Molti sul web si sono lamentati del cambio delle immagini della sigla e il fattore kitsch intrinseco in essa. Non sono d’accordo. La sigla è la perfetta sintesi di tutto quello che vediamo nelle prime due parti. E poi l’effetto vorticoso del pavimento della Loggia Nera l’ho trovato veramente affascinante.
Non si tratta di una facile rimpatriata di vecchi compagni di scuola. Non è un caso che, nel primo episodio, la cittadina di Twin Peaks compaia per una manciata di minuti. Per dare spazio, invece, ad un’altra storia, ad altri ambienti. Una terrificante camera ottica in un grattacielo di New York. Un omicidio perpetrato nel Sud Dakota.
La prima parte della terza stagione di Twin Peaks è un concentrato tra “Velluto Blu“, “Cuore Selvaggio” e “Strade Perdute” con un pizzico di “Eraserhead“. Compaiono, senz’altro, i vecchi personaggi. Ma il senso di spaesamento è tale da farli sembrare ancor più dei freaks, degli alieni di quanto lo fossero in precedenza. Stralunati, ambigui e decisamente inquietanti nella loro ambiguità.
La regia di Lynch è libera, la fotografia livida e sofisticata, il montaggio calibrato al millimetro, sonoro e colonna sonora maniacalmente ben curate. Dà molto la sensazione di opera finale di un percorso. C’è tutto David Lynch. Quello che prende la tranquilla borghesia di provincia e la fa precipitare nel caos più totale. Il David Lynch della videoarte e dei cortometraggi avanguardisti. Il David Lynch creatore di gag da Teatro dell’Assurdo di Ionesco. Un David Lynch che prova a scavare nelle ansie e nelle paure del nuovo millennio.
Suggestivo ed intrigante
Dopo visioni da incubo, angosce, intrighi incredibili, alla fine della seconda parte, ci si ritrova alla Roadhouse. Ad ascoltare i Chromatics e la loro musica. Alla Roadhouse, ci sono anche Shelly ed un James divenuto adulto. Con le loro storie e le loro ferite. La musica che continua a risuonare. Commozione profonda. Il ritorno al mondo di Twin Peaks possiede un senso e un fine e sa ancora come plasmare il suo immaginario esattamente così come fece 25 anni fa.
Gioite! Twin Peaks è tornato. E’ tornato più forte che mai.
Vi lascio con il commento finale…
[adsense] [adsense]
Commento Finale
Le prime due parti della terza stagione di “Twin Peaks” sono un capolavoro senza se e senza ma. Un concentrato di conturbante ed inquietudine davvero niente male. E’ un prodotto fresco, nuovo, originale, tele-cinematico, che non è per niente subordinato alle due stagioni precedenti. Se questo è solo l’inizio…