Un Bacio. Il cinema italiano tra la copia e l’originale

“Sembra il solito film italiano, ma non lo é”. Questa l’affermazione che mesi fa mi era stata rivolta riguardo al terzo lungometraggio di Ivan Cotroneo. Ero parecchio curioso: da cosa era stato conquistato il mio amico? In cosa il film era diverso dagli altri? Anzi, cosa lo rendeva così simile e così diverso da ciò che siamo abituati a vedere? La risposta non dev’essere stata troppo intrigante (nemmeno me la ricordo). Probabilmente tornai sulla birra che stavo bevendo.

Balzo in avanti. Sono sul divano e questa volta non impugno una doppio malto, bensi’ il telecomando del televisore. Scorro i titoli con lo stesso andamento meccanico ed annoiato con cui esploro l’home page di Facebook ed eccolo lì: si ripresenta quel titolo minimale, secco, non troppo originale ma autorevole ed affascinante abbastanza da farmi decidere che per me sarà amore o odio. I pregiudizi fanno colpevolmente parte della mia esperienza spettatoriale e forse “Un bacio” é stato un bel momento di visione anche in questo senso.

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La tradizione e il malessere contemporaneo

Lorenzo, Blu e Antonio frequentano il liceo di Udine. Ciascuno di loro deve convivere con forti problemi personali come l’elaborazione di un lutto, l’omosessualità e tragiche esperienze sentimentali. I tre ragazzi si proteggono dall’esclusione dei coetanei formando un’irriverente squadra che causa in continuazione i provvedimenti del personale scolastico e la preoccupazione dei genitori.

Il plot non é nuovo, lo so. E’ difficile del resto che l’industria cinematografica nostrana resista alla tentazione di attingere da modelli o stili esteri. “Noi siamo infinito” è il riferimento, a volte anche piuttosto sfacciato e stucchevole, ma la nostra attitudine artistica-commerciale ci porta a toccare i nervi scoperti della società italiana. Nel Paese non ci sono giovani smarriti e confusi senza adulti altrettanto impreparati e spaventati ed il film di Cotroneo esprime fino all’estremo questo concetto, a mio avviso con sorprendente efficacia.

Il casting director ha scommesso sull’azzeccata fisicità del trio protagonista. Questo funzionale elemento d’identificazione generazionale è splendidamente valorizzato dall’intelligente fotografia del maestro Luca Bigazzi. Rimpiango di non averlo visto su grande schermo. Devo dire però che a convincermi maggiormente è stato il lato umano dei personaggi. Le fragilità del mondo dei giovani che si riflettono su quello dei grandi e viceversa. La sceneggiatura si concentra (forse troppo rigidamente) proprio su questo parallelismo ed ha il coraggio di prendere svolte tutt’altro che confortanti, rompendo l’ironia pop che contraddistingue molti dei passaggi fondamentali.

Tirando le somme…

Non é il solito film italiano quindi? Credo che lo sia in realtà. In esso riscontro tutte le debolezze e i punti di forza del nostro cinema, sempre in bilico tra la voglia di urlare verità scomode e la paura di offendere troppo una delle parti coinvolte. Dalle alte qualità tecniche e creative, puntualmente smorzate dal timore di esplorare una propria strada e prendersi i dovuti rischi.

Ho fatto a pugni con “Un bacio”: mi sono avvicinato, ho riso, mi sono emozionato, ma anche tenuto distante, non sempre coinvolto nella vicenda e pronto a rivalutare il mio altalenante punto di vista. Mi sono misurato soprattutto con me stesso. Quanti film posso dire che abbiano fatto lo stesso? Non molti, ora che ci penso…

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