Il silenzio degli innocenti. Show, don’t tell.
Cresciuto nella scuderia Corman e dedicatosi nella prima parte della sua carriera ai film di genere exploitation come “Femmine in gabbia”, Jonathan Demme è diventato nel corso degli anni uno dei registi che ad Hollywood hanno saputo coniugare meglio il genere e la complessità autoriale, l’intrattenimento e l’introspezione psicologica.
Il thriller perfetto
“Il Silenzio degli innocenti” è forse il suo apice assoluto. Un film in cui la perfezione tecnica e quella di scrittura (la sceneggiatura è di Ted Tally) danno vita un thriller pressochè perfetto. Fin dall’inizio a guidarci nella narrazione è lo sguardo, lo “show, don’t tell” tanto caro ai manuali di scrittura.
Tutto quello che c’è da sapere lo sappiamo attraverso quello che vediamo. Il cappellino dell’agente che chiama Clarice ci dice che siamo all’FBI, la scritta sulla tuta di lei ci dice che è una recluta e non un agente vero e proprio e di conseguenza ci fa intuire in che modo si rapporterà con i superiori. Il suo sguardo che si sofferma sui ritagli di giornale ci dice tutto quello che ci serve sapere su quello che sarà il villain del film. Non una parola di troppo, non una sbavatura. Un incipit di rara grandezza, paragonabile a quello di “La finestra sul cortile”.
Hannibal Lecter: nascita di un punto fisso
Quando poi entra in scena Hannibal il cannibale, le parole iniziano a moltiplicarsi. Lo fanno perché hanno senso. Quello che si crea tra Hannibal e Clarice è un rapporto complesso, un vera e propria seduta psicanalitica, al termine della quale Clarice avrà completato il suo percorso di crescita personale.
Hannibal, uomo di immensa classe e buongusto, elegante, colto e raffinato ma contemporaneamente un mostro senza pietà, sale in cattedra grazie all’interpretazione di un Hopkins immenso e sapientemente guidato. Quasi sempre immobile, in contrapposizione al continuo muoversi di Clarice/Jodie Foster. Affida la recitazione ai suoi occhi e alla sua voce, quasi gracchiante e straniante, se si pensa all’immensa ferocia di cui è capace. Ferocia che raggiungerà l’apice nella sanguinosa scena della fuga. Scena la cui violenza arriva come un pugno nello stomaco dello spettatore, che fino a quel punto del film aveva visto poca violenza grafica.
Da allora nessun serial killer cinematografico è diventato più iconico di Hannibal Lecter. Lo psichiatra cannibale è diventato un punto fisso nella storia del cinema. Se oggi si vuole creare un villain, si deve per forza fare i conti con lui.
Sotto pressione: un punto di vista diverso
Non senti quegli occhi che si muovono intorno al tuo corpo?
Chiede il Dottor Lecter a Clarice Starling durante il loro ultimo incontro. Tanto per cambiare, lo psichiatra cannibale ha perfettamente ragione.
Lungo tutto il corso del film infatti, Clarice è costantemente osservata dagli uomini. Osservata, giudicata, desiderata, vivisezionata, giudicata con superficialità. Demme adotta una prospettiva completamente ribaltata rispetto a quella tanto criticata dalla Feminist Film Theory.
Se lì nel rapporto maschio osservante – donna oggetto dello sguardo, la macchina da presa coincideva col sguardo maschile, qui anche se il rapporto resta lo stesso, la prospettiva è ribaltata. Nei controcampi i personaggi che si rivolgono a Clarice guardano quasi sempre in macchina. Noi diventiamo Clarice e quindi oggetto dello sguardo maschile.
Che sia quello viscido del Dottor Chilton, quello carico di diffidenza e senso di superiorità di un gruppo di poliziotti o quello insostenibilmente penetrante di Hannibal Lecter, noi sentiamo sulla pelle il continuo senso di inadeguatezza a cui il mondo vorrebbe condannare Clarice. Ma come abbiamo detto, Clarice è determinata e combattiva e compie (è la sola a farlo nel film) un percorso di cambiamento e crescita. E’ lei, dunque, la vera protagonista del film.
Conclusioni
Tutto quello che ho scritto non basta, ovviamente. “Il silenzio degli innocenti” è un film che avrebbe bisogno di un libro o almeno una tesi di laurea, per essere analizzato come si deve. Le scene assolutamente da incorniciare sono innumerevoli, dal primo indimenticabile incontro fra Clarice e il Dottor Lecter a quella già citata della fuga di Hannibal, per finire con l’inseguimento finale nella cantina di Jame Gumb, interamente ripreso dalla soggettiva del serial killer che indossa un visore ad infrarossi. Ma ci sono scene minori che meritano di essere citate.
Una in particolare è da antologia.
Siamo circa a metà film, e ci troviamo nella cella di Lecter al manicomio. Lui è immobilizzato con la bocca bloccata ed il viscido dottor Chilton si sta prendendo gioco di lui. E’ talmente arrogante e incompetente da commettere un errore che darà una svolta al film e porterà alla morte di diverse persone (lui compreso, ovviamente).
Quella penna sbadatamente lasciata sul letto di Lecter viene immediatamente vista dallo psichiatra cannibale e a quel punto avviene qualcosa di cinematograficamente altissimo. Chilton continua a parlare ma…completamente fuori campo. Noi vediamo Hannibal e la penna in un gioco di campi e controcampi sempre più ravvicinati. E capiamo cosa Hannibal ha capito. Show, don’t tell. Un’altra volta. Il più grande thriller degli ultimi trent’anni, senza ombra di dubbio.
Vi lasciamo al commento finale…
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Commento finale:
“Il silenzio degli innocenti” è una pietra miliare del cinema. Un thriller dai tempi e dalla regia perfetti, che analizza la natura umana pur rimanendo sempre nel genere e regala almeno tre interpretazioni indimenticabili.