King Arthur. Ritchie torna con un Artù più cool, sbruffone e molto new age che dà vita ad un film rivoluzionario per il genere.
Data di uscita: 11 Maggio
Genere: Avventura, Fantasy
Anno: 2017
Regia: Guy Ritchie
Sceneggiatura: Joby Harold, Guy Ritchie, Lionel Wigram
Interpreti: Charlie Hunnam, Àstrid Bergès-Frisbey, Jude Law, Eric Bana
Produzione: Safehouse Pictures, Village Roadshow Pictures, Warner Bros. Pictures, Ritchie/Wigram Productions, Weed Road Pictures
Distribuzione: Warner Bros. Pictures
Durata: 126 minuti
Raccontami una storia!
Quale storia? Quella di Re Artù e i cavalieri della tavola rotonda? Ma no dai… che noia! Fate vedere ai vostri figli l’ultimo capolavoro di Guy Ritchie! Vedrete che non solo piacerà loro visivamente ma riuscirebbe anche ad insegnare loro qualcosa sulla narrativa.
Ebbene sì, signore e signori, non abbiamo davanti un film classico con un bel plot lineare, ma Ritchie gira a suo piacimento la frittata, quando, dove e come gli pare. Il racconto del film è spezzettato da continui flashback, flash forward, in cui ciascun personaggio racconta una storia. Quale storia? Quella del film! Ogni personaggio narra ciò che vede coi propri occhi. Sono loro che dirigono lo stesso film del famoso regista britannico.
Sono i protagonisti che spiegano come è andata la storia, come sta andando e come sarà.
Vero o non vero? Possibile o probabile? Questo sta al pubblico deciderlo, mentre viene soggiogato mentalmente dai giochetti narrativi di Ritchie. Artù nel narrare cosa è successo o succederà spesso infatti cambia versione, torna sui suoi passi, fa salti in avanti, indietro, gioca col possibile, cambia punto di vista, ripete, omette… complicato signori spettatori?
Beh… nell’altra sala c’è “Alien: Covenant” (link: Alien: Covenant – Recensione) accomodatevi pure…
Gangsters, bordelli, e boss…
E se il protagonista della leggenda di Excalibur fosse uno sbruffone cresciuto nei sobborghi? In “King Arthur” Re Artù è una sorta di boss della malavita di Londinium. Ruba, tratta merci di contrabbando, fa a botte con i Vichinghi. E’ sempre molto sicuro di se ed è decisamente strafottente. Gestisce insieme ai propri compagni il bordello nei bassifondi della città. Cresciuto tra criminalità e risse è pronto a farsi strada tra la merda che ha dovuto ingoiare per riprendersi ciò che gli è legittimo.
In “King Arthur” quindi emergono molti dei tratti che hanno contraddistinto la cinematografia di Guy Ritchie. Primo tra tutti il clima “gangster” in cui è immerso il plot. Tutto il film è un regolamento di conti tra maschere nere e ribelli. Poi ci sono i nomi eccentrici come Grasso D’Oca, La Carogna, Mangiagalli, La Spada, che strizzano l’occhio ai suoi celebri film “Lock and Stock” e “Snatch“. E poi Artù è indiscutibilmente (come dice Blue in più scene) il “BOSS” che è stato usurpato e che vuole ripigliarsi “tutt’ chell che è ‘o nuost’“.
Uno stile unico e molto cool
Slow motion, rewind, accelerazioni per enfatizzare le scene d’azione, punti macchina innovativi. A Guy Ritchie il cinema classico non è mai piaciuto. Mai si è limitato a costruire scene e sequenze seguendo le regole. Ma il bello di conoscere le regole è poterle stravolgere.
La sequenza in cui vengono narrate l’infanzia e l’adolescenza di Artù per esempio è adrenalina pura. E’ come se fosse un mini-videoclip dove il sound design si mescola alla perfezione con la colonna sonora legandosi alle immagini scoppiettanti che in qualche minuto ti spiegano anni di vissuti del bambino che diventerà re.
I salti temporali come abbiamo già detto sono frequentissimi e i personaggi diventano narratori delle vicende del film. L’epicità lascia il posto alla “gangster adventure” che porta “King Arthur” a trasformarsi da un palloso e fiabesco racconto medievale, ad un film che non annoia ma fa sobbalzare il pubblico in sala.
Vi lasciamo al commento finale…
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Commento Finale:
Guy Ritchie o si ama o si odia. Non c’è tanto altro da dire. “King Arthur” è un ottimo blockbuster che lascia, soprattutto a livello visivo, qualcosa dopo che si è usciti dalla sala. E’ vero alcune battute e dialoghi sono un po’ poco curate, ma il resto del film è davvero da pollici in su.
Jude Law e Charlie Hunnam promossi a pieni voti.
CGI molto ben fatto che si integra con una narrazione frizzante e una regia che fa della macchina da presa, che si muove veramente tanto, un punto di forza.
Molto sulla linea di “Lock and Stock” e “Snatch“, l’esperimento di Guy Ritchie può ritenersi più che soddisfacente. Inoltre dà vita al primo capitolo di uno che, presumo, diverrà un ottimo franchise di autore, non come certe schifezze trash che invadono il mercato del cinema.