Quando Ritchie ha fatto diventare il mito di King Arthur un pulp fantasy adrenalico e meravigliosamente dinamico.
Reboot che arriva tredici anni dopo quell’orribile fiasco chiamato “King Arthur” di Antoine Fuqua con protagonisti Clive Owen e Keira Knightley. Ricordando quel film, mi viene solo un forte senso di fastidio. Peggio dell’orticaria. Un film frutto di una grossa lite tra il regista e il produttore Jerry Bruckheimer. Sarebbe stato più interessante un film sul dietro le quinte rispetto ad una sciocchezza come “King Arthur”.
Invece ritengo piuttosto intrigante questa ultima versione di Re Artù firmata da Guy Ritchie. Certo l’immenso “Excalibur” di John Boorman rimane in quell’olimpo tra il grande film e il capolavoro. Ma anche questo film merita di gran lunga di essere visionato ed anche più di una volta.
Mascherato da blockbuster iper-commerciale, Ritchie è riuscito a dare una modernizzazione dell’epopea arturiana.
Devo ammettere che da “RocknRolla” in poi ho abbastanza apprezzato la sua filmografia. Non sono invece un grande amatore dei film precedenti a quello. Trovo dignitosi i due “Sherlock” (a quando un progetto simile con la figura di Poirot?). Trovo estremamente affascinante ed elegante “Operazione U.N.C.L.E.“. Incompreso, sottovalutatissimo, sembrava di vedere in alcuni punti un film poliziesco italiano anni Settanta. Ed oltretutto mostrava la grandezza di Henry Cavill in un ruolo alla James Bond.
Azione, avventura e tragedia
In “King Arthur”, in questo divertente pulp fantasy eroico c’è veramente di tutto. Azione, avventura e tragedia si mescolano continuamente.
Sin dall’inizio inoltre compaiono Jude Law ed Eric Bana. Il primo è il fratello del secondo, sovrano e padre di Artù. In una svolta totalmente shakespeariana, il personaggio di Law finirà per sedersi sul trono. Ma anni dopo, dovrà affrontare il nipote venuto a reclamare la corona. Un racconto che tiene molto in considerazione sia gli stilemi dell’epica, il tipico andamento di un film di Guy Ritchie e l’uso dell’ironia per sciogliere la tensione del dramma familiare all’origine della storia o i momenti in cui il tono si fa troppo cupo. Regalando talvolta momenti di pura comicità e persino di humour nero.
Molto bravo Charlie Hunnam nel ruolo di Artù, riesce a portare con estrema efficacia la parte per tutto il film.
Un plauso però più grande va al mio amatissimo Jude Law. Il personaggio di Vortigern è l’ennesima conferma di quello che penso di un attore come lui. Egli è perfetto in questi ruoli di re, di capi, che siano essi buoni o cattivi, in quanto egli è “attorialmente” un aristocratico, un upper class. Proprio per questo, apprezzo Jude Law in parti come quelle di Vortigern, di Enrico V e soprattutto nel ruolo del papa re Pio XIII, sapientemente utilizzato da Sorrentino in quella meraviglia che è “The Young Pope”.
Due sono le trovate narrative che ho trovato clamorosamente vincenti in “King Arthur”. L’origine della roccia dalla quale Arthur sfila Excalibur ed il fatto che la suddetta spada prenda il controllo sul suo cavaliere e non viceversa. Tutte le volte che l’eroe la impugna, lo vediamo come posseduto da una forza che lo rende invincibile. La parte più interessante arriva nel finale in cui abbiamo un assaggio del sovrano che il protagonista potrebbe incarnare nei sequel. La parola al box office!
Chiudo con questa citazione che appartiene a ben altro mito:
“Escalabar, Escansala, Eschizibur, Escansa” “Excalibur imbecille!”
Solo per veri intenditori.
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