Nel 2019 l’autrice americana Taylor Jenkins Reid ha pubblicato il suo sesto romanzo: Daisy Jones & the Six. La storia, raccontata come se fosse la trascrizione di una docuintervista, racconta dell’ascesa e del declino della band immaginaria (ma fortemente ispirata ai Fleetwood Mac) da cui il romanzo prende il nome. Al centro degli eventi ci sono il frontman Billy Dune e la cantante Daisy Jones, intrappolati in un triangolo malato dove a farla da padrone è solo la dipendenza emotiva come dalle sostanze stupefacenti, un male da cui Billy cerca di distaccarsi per amore della moglie e delle figlie e in cui Daisy Jones è completamente immersa.
Gli eccessi tipici delle band rock dell’epoca, le tensioni tra i vari membri e
l’egocentrismo estremo hanno portato la band dall’apice alla separazione e nel libro viene illustrato con interviste chiaramente inaffidabili e contraddittorie che sottolineano sia le loro personalità sfaccettate che il modo in cui ogni membro fosse così occupato da se stesso e dalla sua dipendenza da non osservare con obiettività il mondo intorno.

Il libro è presto diventato un successo negli Stati Uniti ed ha portato, quest’anno, al rilascio di una miniserie sulla piattaforma streaming Amazon Prime Video. Per
aumentare il realismo dell’esperienza è persino stato rilasciato l’album che, nel libro, aveva portato la band al successo: Aurora. Un cast azzeccato, composto per lo più da attuali cantanti, e la scelta di creare un vero e proprio formato documentario per la messa in onda sembravano tutto il necessario per soddisfare i fan del libro catturando contemporaneamente una nuova audience estranea al testo originale.
È una serie ben adattata quindi? Questo dipende.
Se ciò che più ha lasciato un segno nel lettore è la storia tormentata dei due protagonisti, la serie potrebbe risultare ancora più
soddisfacente. Se invece l’interesse era puntato verso un mondo fatto di personaggi complessi ma assolutamente disprezzabili, o un’analisi della dipendenza come attuale rovina del soggetto dipendente e di chi lo circonda, la delusione sarà molta. Proseguiamo con ordine.

Il mood della serie, e il personaggio di Daisy Jones
I toni vengono addolciti, i personaggi resi più amabili e le loro scelte più “adatte” al gusto comune; per esmpio Billy Dune, uomo tanto carismatico quanto egocentrico e maniaco del controllo, viene ammansito al punto che la rabbia della band nei suoi confronti sembra quasi del tutto ingiustificata.
Il personaggio che più soffre di questo “addolcimento” è, però, proprio Daisy Jones; ella è, nei libri, tanto vittima innocente quanto insopportabile diva: fin dalla più tenera età subisce l’ambiente misogino e le molestie della scena Rock dell’epoca, inoltre è all’eterna ricerca, nella droga e nelle attenzioni dei suoi fan, dell’affetto che i genitori non hanno mai potuto darle.
Allo stesso tempo è viziata, spesso una presenza dannosa per chi le sta intorno, egocentrica e fermamente convinta di essere la più talentuosa cantante e
compositrice dell’universo cosa che, spesso viene fatta notare da altri personaggi, non è affatto vero.

Tutti i suoi difetti, i suoi vizi e le sue manie la possono rendere un personaggio odioso ma di certo unico nel suo genere, dato che non molto spesso ai personaggi femminili viene concesso di essere così sfaccettati. Nella serie tutto questo è eliminato: Daisy è dipendente dalle droghe in modo estremamente controllato (nella serie appare sempre cosciente di sé mentre nel libro viene spesso accennato che fosse così spersa da camminare costantemente scalza per le strade di Los Angeles), è il talento naturale che la Daisy Jones dei libri credeva di essere ma, soprattutto, è una donna che lavora sodo per raggiungere i suoi obiettivi e con un sincero amore per la musica.
È una storia femminile di scalata al successo dove l’unico ostacolo è un mondo misogino. Escluso questo fattore Daisy Jones avrebbe avuto una vita estremamente facile essendo lei bella, brava, intelligente e di buon carattere. Una storia ormai sentita e risentita in ogni singolo show più interessato a farti una morale sui diritti della donna (di cui spesso lo spettatore
già è a conoscenza) che a mostrarti personaggi e raccontarti una storia.
Anni ’70 edulcorati
Gli anni ’70 di questa serie non sono per nulla gli anni di eccessi e sregolatezza mostrati nel libro ma una versione patinata e idealizzata della vita da Rockstar e della dipendenza.
Un’occasione sprecata di presentare qualcosa di diverso dalla solita formula, dove le personalità immorali possono essere deplorevoli ma non troppo, dove la dipendenza è solo un mezzo per scatenare eventi drammatici più che la causa di distruzione di molte vite e dove il lato scomodo di ogni epoca viene convenientemente dimenticato (simbolico di questo fatto è la scelta di cambiare la storia di un personaggio che, invece di essere arruolato e morire durante la guerra del Vietnam, decide semplicemente di studiare per diventare odontoiatra). Un vero peccato considerando il talento del cast sia
a livello attoriale che musicale.
Risulta però interessante la scelta di rappresentare realtà dell’epoca come la musica disco e il suo legame con la cultura nera e queer mostrataci attraverso gli occhi di Simone. Quest’ultima è la migliore amica di Daisy Jones, della cui carriera ci viene solo accennato nel libro ma che ha trovato più spazio in questa trasposizione.

In Conclusione…
Daisy Jones era prima di tutto una storia di amore e dipendenza e di come fossero spesso intrecciati tra di loro, di come l’amore possa essere sia forza salvifica che farti sprofondare più in basso e un reportage, sebbene non perfettamente accurato, di un’epoca iconica. La serie sceglie di essere una storia d’amore, nulla di più che un triangolo amoroso tra Billy, Daisy e Camilla (la moglie di Billy) con eventi sullo sfondo che si succedono uno dopo l’altro in modo perfettamente prevedibile se si è vista anche solo più di una serie televisiva soggetta alle leggi di una piattaforma streaming.
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