Non siamo estranei ad artisti o prodotti creativi sottovalutati. E non è difficile immaginare che lo stesso accada in televisione, dove una gran dose di successo delle serie tv è dovuta, oltre che dalla fortuna, anche dalla notorietà dei soggetti coinvolti.
A nostro parere, queste piccole perle ci avevano visto lungo su temi di estrema attualità tra le recenti generazioni, trattandole con una qualità narrativa oramai abbandonata dai “visionari” servizi streaming. Fossero uscite anche solo un paio di anni dopo, chissà, forse sarebbero state apprezzate di più.
In The Flesh (UK, 2013-2015)
A seguito di una strage causata dall’arrivo improvviso dei morti viventi, è stato creato un antidoto che permette agli zombie di recuperare la consapevolezza di sé. È l’alba di una nuova civiltà, dove le due entità sono costrette alla convivenza. Ma gli umani provano rancore per il prezzo pagato, e i non-morti, sempre più marginalizzati, iniziano a credere di essere una razza superiore.
Il protagonista Kieren è un adolescente sensibile e vulnerabile. Sì è suicidato nel 2009 solo per tornare nuovamente in vita contro la sua volontà. Come tutti i suoi simili, ha mangiato delle persone per poi doversi confrontare con la propria coscienza. Durante le due scarse stagioni dovrà combattere fra i suoi sensi di colpa, una società sanguinaria, i suoi ‘compagni’ zombie ribelli e la sua famiglia ostile.
Un originalissimo contesto post-apocalittico che mette al centro la convivenza col mostro, l’altro, la diversità, il pericolo. Una malattia che polarizza le persone, alla fine tutte vittime di un evento troppo grande e caotico per comprenderlo. È una visione introspettiva, dolce e aperta della tipica apocalisse zombie. Non ci chiede adrenalina, o paura, o d’immaginare quali atti violenti saremmo disposti ad accettare in nome della sopravvivenza. Fa appello alla nostra umanità di fronte alle crisi e alla calma dopo la tempesta.

Being Erica (Canada, 2009-2011)
Fate un attimo mente locale dei vostri rimpianti, rimorsi ed errori. Avete la possibilità di tornare indietro nel tempo e sistemare tutto. Lo fareste? Cosa cambiereste? E soprattutto, siete sicuri che farebbe la differenza?
Erica Strange si sente una totale fallita sotto tutti i punti di vista. Incolpa per questo le scelte sbagliate prese in gioventù. Arriva dal nulla un terapeuta che, durante le sedute, la porta letteralmente indietro nel tempo, permettendole di cambiare il suo passato con la saggezza dei trent’anni, per poi tornare al presente una volta copiuta la missione. Imparerà in ogni puntata (il difetto della sitcom) che non avrebbe dovuto crogiolarsi sui suoi errori, oramai parte di un tempo che non le può più fare del male. Invece, scopre come renderli strumenti per crearsi un futuro.
Con una metafora non poco sottile sull’approccio terapeutico, la serie desiderava ridefinire l’idea di autorealizzazione. La cultura post-bellica ci suggerisce che, se non arriva il futuro che ci aspettavamo, la responsabilità è nostra per essere usciti dalle rotaie. Being Erica invece ha provato a raccontarci di noi come un continuo divenire, i cui errori sono elementi fondanti della nostra ricchezza.
Nelle ultime stagioni cala la qualità, ma una solida trama orizzontale l’avrebbe potuta salvare dalle ridondanze. E forse avrebbe permesso di fornire ai millennial una fresca rappresentazione della terapia di cui da ragazzini avevamo bisogno.

My Mad Fat Diary (UK, 2013-2015)
Fine degli anni ’90: l’adolescente Rae, obesa, depressa e autolesionista, esce dall’ istituto psichiatrico dopo aver tentato il suicidio. È costretta dalla terapia a stilare un diario segreto per quando entrerà nuovamente nella sua vecchia realtà – composta soprattutto da una famiglia instabile e una migliore amica narcisista.
Nonostante le pesanti premesse è una esilerante coming of age story piena di sarcasmo, drammi e triangoli amorosi, con al centro le accurate insicurezze di un’adolescente. Pur piena di cliché, la serie si distingue per la sua sfacciata onestà e la capacità di non feticizzare le malattie mentali o uno stile di vita autolesionista. In due striminzite stagioni la vedrete percorre il suo viaggio dall’odio all’accettazione di sé, consapevole della tanta strada ancora da fare.
È un teen drama sfacciato e allo stesso tempo d’evasione. Riesce a fornire il giusto equilibrio tra romanticismo e realismo, grazie a un’attenta cura per la storia, i personaggi e i desideri degli spettatori.

United States of Tara (USA, 2009-2011)
Tara altro non è che la tipica mamma di una tipica famiglia americana. Ha un marito bonaccione e due figli adolescenti. Ma ha anche tre altre personalità dentro di sé: la lasciva sedicenne “T”, il tipico americano nostalgico e vecchio stile “Buck”, e la bigotta moglie di casa anni ’50 di nome “Alice”.
Se nella prima stagione ci divertiamo e commuoviamo nel guardare come la famiglia – soprattutto i figli – imparano a gestire e amare la propria madre con tutte le difficoltà, nel corso delle ultime stagioni la serie diventa sempre più cupa.
Il tema della malattia mentale – soprattutto una così stigmatizzata – non è mostrato con superficialità. Seppur con toni da commedia drammatica, va a scovare nel passato traumatico di Tara, approfondisce le radici di malattie mentali ingestibili, assieme alla necessità di affrontare i propri demoni per proteggere se stessi e chi si ama.

My name is Earl (USA, 2005-2009)
Earl è un comune delinquente della domenica che non ne ha mai combinata una giusta. Una delusione per i genitori, uno degli ultimi, che ha subito e fatto del male. Un giorno sente parlare del karma: quello che dai al mondo poi ti torna indietro. Decide allora di stilare una lista di tutte le cattive azioni compiute, nella speranza di guadagnare appunto karma positivo. E diventa la sua filosofia di vita, la sua bussola etica.
Questa serie è lontana dall’essere sconosciuta, ma ha subito un’ingiustizia peggiore: non è mai stato prodotto il finale. Progettata fin dall’episodio pilota, legava tutti gli eventi dando loro un senso unico. Avrebbe reso il prodotto iconico e degno di essere rivisto anche dieci e vent’anni dopo. Privare la serie del finale invece l’ha destinata ad essere come una piacevole sitcom come tante altre, nel cuore di molti millennial, ma niente di più.
Qui la testimonianza dell’autore sull’ultimo episodio:
La verità è che non avrebbe mai finito la lista […] Un giorno incontra qualcuno che ha una sua lista di cattive azioni a cui rimediare. Earl gli chiede da dove ha preso l’idea. Lui gli dice che l’ha presa da qualcuno che […] a sua volta aveva una lista […] e che anche quella persona aveva preso l’idea da qualcuno con una lista. Earl realizza quindi di aver creato una catena di persone decise a rimediare ai propri errori e che finalmente ha portato nel mondo più bene che male. A quel punto strappa la lista e vive la sua vita da uomo libero, con un buon karma e in pace per ciò che ha raggiunto.
Un messaggio di pace, altruismo e accettazione alle porte di un’epoca individualista e perfezionista.

Conclusioni – perché proprio queste Serie TV?
Per ogni serie qui nominata ne troveremo altrettante anche di più meritevoli. Questo non è l’Elenco Definitivo e non aspira ad esserlo.
Abbiamo scelto questi cinque casi in particolare perché riteniamo che con essi siano sfuggite importanti occasioni per imparare qualcosa sul nostro presente. Oggi viviamo la guerra, l’incertezza sul futuro, le aspettative deluse, la precarietà, e ci viene rimproverato d non superare ogni rosea aspettativa.
Ognuna di queste serie ci chiede di rivedere le nostre priorità e guardare solo dentro noi stessi per trovare il nostro posto nel mondo. In un periodo televisivo storico dove questo diamante doveva ancora essere scovato e abusato.
Dall’arrivo dello streaming vengono create circa 600 serie l’anno. Fra eccellenze pluripremiate e mediocrità popolari, quante piccole perle ci stiamo perdendo proprio in questo momento, nel 2023, che raccontano davvero di noi stessi e di cosa ci aspetta?
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