Questo articolo dal titolo “provocatorio” vuole essere una riflessione aperta su questioni che interessano soprattutto le ultime edizioni dei premi Oscar. A fronte di premiazioni molto criticate e di una collezione non invidiabile di figuracce mediatiche, sembrerebbe (più che un’impressione è la realtà) che gli Academy Awards stiano perdendo sempre più credibilità e capacità di intercettare nuovi miti cinematografici nell’immaginario collettivo, arrivando a prendere sembianze sempre più simili a quelle dei convegni del Democratic Party americano. Non dovrebbe sorprendere, quindi, che uno show con protagonisti poche persone ricche e privilegiate che calano dall’alto giudizi morali perda ogni anno milioni di spettatori. Oltre a questo, quali potrebbero essere gli altri motivi di questi risultati costantemente negativi?

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Il Tweet di Ricky Gervais poco dopo la cerimonia

Gli ascolti

Partiamo da un punto ormai sempre più spinoso. Contrariamente a ciò che riportano molti articoli, gli ascolti di quest’anno sono sì aumentati rispetto all’anno scorso, ma rimangono tra i peggiori della storia se paragonati agli anni precedenti. Bisognerebbe infatti considerare la riorganizzazione strutturale e temporale dell’edizione 2021 a causa della pandemia, con ascolti decisamente più influenzati rispetto alle precedenti edizioni. Paragonando l’edizione 2020 (23,6 milioni) con quella di quest’anno (15,4 milioni), si riscontra chiaramente un calo di poco più di 8 milioni di spettatori (Fonte: Ciak Magazine). Non fosse stato per l’evento Rock-Smith, i dati di ascolto sarebbero stati addirittura più bassi.

La costante premiazione di film graditi quasi unicamente da poche fasce elitarie potrebbe essere il sintomo principale dell’ormai tradizionale calo annuale di spettatori. Non basta, infatti, ogni tanto un caso “alla Parasite” per poter rimediare ai molti errori commessi in passato. Basti pensare a Moonlight, Green Book o al dimenticato Crash – Contatto Fisico che hanno vinto contro film più amati sia da critica che da pubblico.

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Premi Oscar: “artisti” VS “tecnici”

Arriviamo al nodo centrale dell’intera serata, probabilmente il meno riuscito a livello organizzativo: la gestione dei cosiddetti premi “tecnici”, prima eliminati e poi presentati frettolosamente dopo la comunicazione dei vincitori sui profili social ufficiali. La decisione, diffusa prima della cerimonia, aveva destato non poche critiche tra gli appassionati e i professionisti, primo fra tutti Steven Spielberg.

E’ curioso come a fronte di una necessità di includere tra i vincitori categorie sottorappresentate, seppur non necessariamente meritevoli, allo stesso tempo venga meno la rappresentazione di specifiche categorie lavorative, come se gli aspetti “tecnici” nel loro insieme contribuissero poco o niente alla resa finale del prodotto cinematografico. Pensiamo a un film come Mad Max: Fury Road, con il suo montaggio febbrile: vi immaginate che scandalo sarebbe stato non premiarlo? I videogiochi ci dimostrano, anno dopo anno, che sono proprio gli aspetti tecnici che rendono possibili modalità espressive e narrative inedite.

La distinzione tra premi “artistici” e “tecnici” rischia di creare una gerarchia tendente a svalorizzare il lavoro di molti addetti ai lavori. Sfido chiunque a considerare “meno artistici” film strabordanti di effetti speciali come Il Ritorno del Re, Titanic o il già citato Mad Max. La scelta di rimuovere le premiazioni tecniche è stata promossa con l’intento di rendere lo show più scorrevole e appetibile per un pubblico più generalista. Nonostante queste premesse, la 94esima edizione degli Oscar non è stata “più corta”, rendendo vana tutta l’operazione. Davvero meritavano più visibilità le gag “””comiche””” come quella della foto di sotto?

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Cringe su tela

L’Affaire CODA

La scelta di assegnare i premi per la Miglior Sceneggiatura Adattata e per il Miglior Film alla pellicola di Sian Heder è stata definita anticonvenzionale. La motivazione principale? Il semplice impianto stilistico del film. Dopotutto, perché non premiare una piccola commedia che parla delle sfide quotidiane del ceto medio-basso? C’è però un elemento non da poco da ricordare. Dietro il successo di CODA è presente una multinazionale come Apple, un particolare che fa perdere al film parte di quell’aura indie che in molti paventano. Inoltre, di CODA si è iniziato davvero a parlare soltanto dopo la sua vittoria ai SAG (Screen Actors Guild Award) del 27 febbraio e del PGA (Producers Guild of America Awards) del 19 marzo, due premi significativi perché indicanti tendenzialmente il futuro vincitore agli Oscar per Miglior Film. Prima di queste vittorie, sulla bocca di tutti c’erano film come The Power of the Dog, Drive My Car, Licorice Pizza e Dune. Film che suggerivano un maggiore impatto nei confronti di pubblico e critica.

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Premi e Meritocrazia

La vittoria di CODA, pur nella sincera convinzione da parte dell’Academy di voler comunicare una volontà inclusiva, rischia di lanciare due messaggi pericolosi.

Rispetto all’originale da cui è tratto (La Famiglia Belièr, 2014), CODA presenta molti, troppi punti di convergenza con il film francese, rendendo il remake statunitense un’operazione copia-incolla, furba e conservatrice. Non solo gli eventi principali narrati: i dialoghi, le situazioni e i personaggi, tutto è avvolto da una pesante sensazione di dejà vu. L’unica differenza significativa sono gli attori realmente sordi. Intendiamoci. Sono favorevole alle vittorie dei remake – lo stesso Scorsese vinse il suo primo (e unico) Oscar grazie al remake The Departed, e CODA è un film apprezzabile, scorrevole e con un buon bilanciamento tra comedy e drama. Tuttavia, premiare un film praticamente uguale all’opera originale rischia di dare maggior peso alla scelta del tema più che alla sua effettiva realizzazione.

Questo ci porta al secondo punto, cioè una mancanza di meritocrazia a fronte di opere diversificate e maggiormente curate come quelle citate poc’anzi. Fa tristezza pensare a CODA vincitore per la Miglior Sceneggiatura Adattata contro film come Dune (un romanzo ritenuto più volte, insieme a Il Signore degli Anelli, non adattabile proprio per la sua complessità) o Drive My Car, in cui il breve racconto di Murakami viene espanso con una dedizione e delicatezza esistenzialista rare, che gli sono valse l’Oscar per Miglior Film Internazionale, oltre che l’approvazione quasi unanime di critica e pubblico.

Il caso Flee

Spostiamoci ora nella categoria d’animazione. Decisamente strano vedere un film come Flee (candidato anche per Miglior Documentario e Miglior Film Internazionale) rimanere a bocca asciutta. Flee parla della storia vera di Amin, un giovane afghano omosessuale costretto dalla guerra a fuggire dalla propria casa insieme alla sua famiglia, attraverso episodi la cui narrazione non risulta mai banale e/o moralista. Sarebbe stato già più coraggioso, oltre che più inclusivo, fargli vincere almeno il premio come Miglior Film d’Animazione contro l’ennesimo film Disneyano dal budget multimilionario.

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Politicamente corretto e industria

Passiamo alla tematica tanto discussa ogni anno, ma che in questa edizione degli Oscar è stata particolarmente significativa: il politicamente corretto. La vittoria di Ariana DeBose, prima attrice afro-latina dichiaratamente omosessuale a vincere un Oscar, è stata accolta positivamente dalla maggioranza proprio perché l’intenzionalità inclusiva dell’Academy si è perfettamente allineata con la sua interpretazione, apprezzata in maniera pressoché unanime. Stesso discorso vale per Troy Kotsur, primo attore maschio sordomuto a vincere l’ambita statuetta per la sua interpretazione in CODA.

Come visto, non si tratta di “accusare” di favoritismo determinate categorie, ma di criticare la convinzione diffusa che, premiando al di là dell’effettivo merito, si possano lanciare carriere e messaggi inclusivi. Tuttavia, è doveroso ricordare che gli Oscar non rappresentano l’industria nella sua completezza, ma uno dei suoi principali risultati. Il cambiamento dovrebbe partire rimuovendo le barriere all’ingresso dell’industria cinematografica, non dalle cerimonie di premiazione che interessano, appunto, chi in quell’industria già c’è.

Oscar = Garanzia?

Ricordate i premi Oscar 2015, quando Eddie Redmayne vinse per la sua interpretazione ne La Teoria del Tutto? Ad oggi Redmayne – se escludiamo il franchise di Animali Fantastici e Dove Trovarli, la cui sopravvivenza dipende dall’imminente terzo capitolo, si ritrova con un’offerta lavorativa più povera rispetto a Michael Keaton (anche lui candidato quell’anno), che invece ha avuto l’occasione di lavorare in numerosi film con anche ruoli chiave (Il Caso Spotlight, Spider-Man: Homecoming, The Founder ecc.). Altri esempi simili a quelli di Redmayne sono Hilary Swank o Renée Zellweger, più volte vincitrici ma le cui carriere paiono essersi, purtroppo, arenate. Possiamo quindi constatare come il lancio della carriera di un artista, ad oggi, non parta necessariamente dalla vittoria di un Oscar.
Premi Oscar o meno, alla fine solo il tempo ci dirà se la semplicità e la furbizia di CODA avranno la meglio nella memoria collettiva rispetto ai suoi concorrenti.

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