Zero to Hero

“L’Italia è un paese di supereroi. Ognuno con la sua storia da raccontare”. Zero, la serie approdata su Netflix il 21 aprile, ispirata al romanzo “Non ho mai avuto la mia età” di Antonio Dikele Distefano, ci mostra la quotidianità di Omar, un giovane milanese che ha il sogno di creare manga per professione. Vive nel quartiere Barona, col padre Thierno, e la sorella, Awa; il ragazzo preferisce stare per conto proprio, e non ha particolari amici. Il lavoro di rider che svolge per la pizzeria Sandokan gli permetterà un giorno di trasferirsi, e ricominciare, seguendo la propria passione.

Tutto cambia nel momento in cui Omar scoprirà di avere un potere speciale: l’invisibilità. La scoperta avviene per caso, e questa capacità sarà legata alle emozioni provate, e starà al giovane decidere se e come vuole sfruttarli. Questo superpotere non è una novità nel panorama del genere, se pensiamo a “Il ragazzo invisibile” di Salvatores, o a Miles Morales, Spider-Man che abbiamo visto sul grande schermo in “Into the Spider-Verse“, ma è interessante il modo in cui in Zero diventi, per esteso, metafora per una generazione che non viene considerata, e che è alla ricerca di uno spazio in cui esprimersi e vivere. Parlando di cultura pop, la serie contiene citazioni, come ad esempio al manga Mob Psycho 100.

Zero: i pregi…

Dopo la conclusione, desidero parlare delle mie impressioni post visione. In primis, credo che sia visibile lo sforzo produttivo dietro questa serie, che tra varie location ci offre uno sguardo su Milano che è nuovo, passando tra Barona, San Lorenzo e Centro direzionale.

Ad accompagnare musicalmente le avventure di Omar una colonna che mi è sembrata interessante, che ospita al suo interno anche il brano di Mahmood, Zero, che chiude la serie. Nella playlist, Marracash con “64 barre di paura”, FKA twigs, Daughter, Madame, Ama Lou e diversi altri.

Omar (Giuseppe Dave Seke) e Sharif (Haroun Fall) in una scena della serie.

La crew

Uno degli aspetti più convincenti della serie secondo me è nella crew, il gruppo composto da Sharif, Sara, Momo e Inno, a cui si aggiungerà Zero, per salvare il quartiere da atti di vandalismo manipolati dietro le quinte da qualcuno. L’inizio non sarà semplice, e saranno numerosi i conflitti.

A colpire è la quotidianità di questi ragazzi, con Sharif che desidera ardentemente agire per migliorare la situazione del quartiere, o Sara, produttrice musicale che offre uno spazio di espressione, con uno studio di registrazione, il Basement. Tra le questioni accennate brevemente o meno, anche le difficoltà di Inno, che desidera sfondare nel calcio professionistico, ma vede continuamente rimandata la propria pratica per ottenere la cittadinanza italiana.

Questo gruppo vivrà diverse situazioni, sfruttando anche le capacità speciali di Omar, ribattezzato Zero dal nome dell’eroe che ha disegnato su delle tavole, affrontando cospirazioni, partite d’azzardo e inseguimenti, e sono molto curioso di vedere come potrà crescere nella seconda stagione, di cui sono stati piantati i semi.

La crew combatterà per proteggere la propria casa.

… e i difetti

I problemi principali sono secondo me nella sceneggiatura: spesso, il plot avanza in un modo che sembra ignorare dei passaggi che avrebbero reso ben più chiaro il suo svolgersi, o che appaiono pretestuosi. Un aspetto interessante è nel minutaggio di ogni episodio, che dura al massimo 30 minuti, inusuale per un drama: da un lato, questo consente di avere un pacing abbastanza veloce, ma che credo sul lungo periodo abbia costituito anche un limite, dovendo tirare i fili di ogni puntata in un tempo non molto ampio.

L’accumulo di situazioni, come ad esempio il subplot della sorella di Zero, non è molto a fuoco, purtroppo. Le premesse sono buone, ma gli eventi vengono troppo spesso velocizzati, e secondo me il caso più evidente è il modo in cui viene “disinnescato” un nodo principale della trama, all’inizio dell’ottavo episodio. Una delle relazioni principali della serie, quella tra il protagonista e Anna, a mio avviso soffre della mancanza di situazioni in cui svilupparsi, che mettono alla prova la sospensione dell’incredulità.

“Tempo di partire da Zero” – L’importanza di questa serie nel panorama italiano

In un’intervista pubblicata su Youtube da Netflix (qui il link), tra Haroun Fall (che interpreta Sharif nella serie), Antonio Dikele Distefano e Marracash (suo è il brano “64 barre di paura“, presente nel primo episodio), si affrontano vari temi, tra invisibilità e rappresentazione, mentre i tre esplorano il quartiere Barona, in cui si ambienta la serie. Ho trovato di particolare interesse questo paragrafo.

Da sinistra: Antonio Dikele Distefano, Haroun Fall e Marracash.

Antonio Dikele Distefano: “Anche nel mondo del cinema, spesso c’è il discorso della categorizzazione: se tu sei un ragazzo nero, puoi interpretare solo certi ruoli. Quali sono gli strumenti che utilizzi e utilizzerai per far sì che questa cosa non accada?”

Haroun Fall: “Per entrare nel mondo del cinema come protagonisti essendo neri di seconda generazione, era importante fare dei fuori ruoli, quindi dei ruoli in cui io non rappresentavo semplicemente quello che le persone vedevano di me, ma qualsiasi tipo di cosa, che poteva essere un avvocato, un medico, come vediamo negli Stati Uniti i grandi attori, quindi Denzel Washington e Will Smith.”

Mi auguro che questa serie possa rappresentare un nuovo punto di partenza per le produzioni italiane: offre uno spazio per una storia, dei personaggi e dei volti che finora sono stati invisibili, o relegati a ruoli marginali e stereotipati. Un segnale forte, di cui consiglio la visione, che spero possa portare un vento di cambiamento.

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