Riprendiamo la carrellata per la 93esima edizione dei prossimi premi Oscar previsti per domenica 25 aprile 2021. Dopo esserci occupati dei migliori e dei peggiori vincitori della categoria Miglior Film degli anni zero (qui lo speciale), arriviamo agli anni 10 di questo millennio.

– I MIGLIORI –

Birdman (2014)

Dopo le mancate premiazioni di Amores Perros, Biutiful e di Babel, il 2015 segna uno spartiacque nella carriera di Inarritu. Il (finto) piano sequenza che segue gli attori nei dietro le quinte di Broadway sconfisse a sorpresa il tanto amato (e premiato) Boyhood di Richard Linklater.
Inarritu sembrerebbe intenzionato non solo a mescolare il conflitto apparentemente senza fine tra Riggan Thompson e il suo passato da “Uomo Uccello”, ma intavola una critica aperta contro i falsi miti generati dal genere supereroistico e dalla memoria spettatoriale. Tutto questo all’interno di un frame sonoro dove i suoni inamovibili della batteria che attanaglia Riggan e lo spettatore funge da colonna sonora.
La vittoria di Birdman rappresenta un caso curioso dato il suo schieramento contro le logiche di Hollywood, dei premi Oscar e dello spettacolo in generale. Chapeau.

Green Book (2018)

Greek Book presenta le classiche dinamiche della formula dei Road Movie. Nel corso di un viaggio in auto, i due universi valoriali ed esperienziali dei protagonisti entrano in pieno conflitto, sviscerando le loro idee di mondo nel contesto razzista statunitense degli anni 60. Una sceneggiatura semplice, ma mai mediocre, unita alla bravura attoriale e agli efficaci tempi comici ne hanno decretato l’apprezzamento da buona parte del pubblico. Una vittoria emblematica data la bassa percentuale di commedie vincitrici in favore di film decisamente più drammatici.
La scena della pizza arrotolata da Viggo Mortensen rimane tutt’oggi uno strano mix tra eccitamento e orrore culturale.

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– I PEGGIORI –

The Hurt Locker (2008)

A quanto pare i membri dell’Academy non prediligono il mescolamento di generi. Se le tematiche socio-politiche rappresentano una sorta di grimaldello per entrare nelle grazie dell’Academy, lo stesso non si può dire per film come District 9. Prodotto da Peter Jackson, il film sudafricano mescola sapientemente due temi ricorrenti (fantascienza e razzismo, più un’introduzione in stile mockumentary) dando vita a una metafora sull’Apartheid (rimasta in vigore in Sudafrica fino al 1991). Il film diretto da Neill Blomkamp, più altri candidati di spessore di quell’anno, vennero sconfitti da The Hurt Locker, diretto da Kathryn Bigelow, che seppe scuotere maggiormente gli animi e i cuori degli americani grazie al suo simbolismo e alla sua potenza visiva, complice l’allora attuale tema della guerra e del terrorismo post 11 settembre.

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Argo (2012)

Django Unchained, Vita di Pi, Amour, Re della terra selvaggia. Questi sono alcuni dei candidati dell’edizione 2013 che preferì premiare, invece, il valore storico e, anche qui, fortemente politico di Argo, diretto da Ben Affleck. Una delle vittorie, probabilmente, più anonime degli anni 2010, complice probabilmente l’alta qualità della maggior parte dei candidati.

12 Anni schiavo (2013)

L’ottimo film di Steve McQueen è potente e a tratti visivamente disturbante. Ma c’è un problema: la sceneggiatura di John Ridley, paradossalmente, non riesce a far percepire all’interno dell’esperienza di visione il peso dei 12 anni vissuti da schiavo dal musicista Solomon Northup. Se non si conoscesse il titolo del film, probabilmente non si coglierebbe l’arco temporale trascorso. Un film che basa la sua realizzazione su questo tema non può permettersi di sbagliare un elemento così importante. Questo è il motivo per cui i premi Oscar per miglior sceneggiatura adattata e film avrebbero dovuto essere consegnate a Scorsese per The Wolf of Wall Street. La mancata premiazione è forse un sintomo di un’incapacità nel volere riconoscere gli errori di un sistema socio-economico più vicino e simile ad oggi?
E’ doveroso ricordare anche Lei, di Spike Jonze, un film dove viene messa in mostra l’incertezza emotiva dell’essere umano contemporaneo che trova rifugio nelle più moderne tecnologie sempre più vicine nel replicare determinati tratti umani.

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Moonlight (2016)

In Moonlight regia, fotografia e prove attoriali funzionano alla grande. Il problema più grande risiede però nell’ossatura generale della storia del protagonista Chiron. I numerosissimi luoghi comuni narrativi viziano con scrupolosità le nostre abitudini percettive, abituandoci paradossalmente a una fruizione “conservatrice” rispetto all’idea di fondo dell’opera prima di Barry Jenkins. Non è bastata la filosofia di base del film riportata nel titolo dell’opera da cui è tratto (In Moonlight Black Boys Look Blue) a far dimenticare il front-runner di quell’anno, La La Land, che ha saputo lasciare un’impronta più profonda nell’immaginario collettivo.

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La forma dell’acqua (2017)

Guillermo del Toro non ha faticato nel confessare e palesare il suo feticismo per il cinema classico e moderno. Vincitore indiscusso dell’annata 2018, Del Toro spodestò il successo di Call me by your name che consacrò definitivamente Guadagnino nello scenario internazionale. Grande sconfitto di quell’annata, però, fu Tre Manifesti a Ebbing Missouri, il quale non riuscì ad aggiudicarsi nemmeno l’apparentemente scontata statuetta per la miglior sceneggiatura originale, consegnata a Scappa – Get Out.
Insomma, il citazionismo sfrenato de La forma dell’acqua ebbe la meglio sugli altri candidati, seppur rimanga un buon film.

Premi oscar

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