Too Old To Die Young
Narrazione vs Stile

“Partiamo con le mani avanti”, si dice. Sia chiaro che ciò di cui andremo a parlare potrà far dibattere in un rapporto d’amore e odio due torri comunicanti, che sinteticamente chiameremo stile e narrazione. Faremo come Joseph Gordon-Levitt in The Walk: cammineremo su un filo tra torre nord e torre sud, stando attenti a non procedere con troppa fretta, ma neanche a tornare indietro per la paura. Avremo la compagnia di un danese talentuoso e ormai riconoscibile anche al buio; Too Old To Die Young è l’ultima opera di Nicolas Winding Refn, realizzata in collaborazione con Ed Brubaker, noto fumettista statunitense.

Quindi: abbiamo un regista a cui piace Jodorowsky e un fumettista specializzato in supereroi e in criminologia. Un’accoppiata ben congeniata, se si pensa alla presenza effettiva di tutti gli elementi elencati in precedenza in opera terminata. Una miniserie che appare un po’ brilla, in un continuo salto tra uno stile preciso e ricercato a una narrazione, sebbene in ombra, chiara e riflessiva. Un’opera poco ponderata sia nel processo (10 episodi con una media di 70 minuti di durata ciascuno) sia, con molta probabilità, nelle ultime battute poco convincenti, ma ricca tuttavia di linguaggi miscelati non casuali, omaggi e passione. Too Old To Die Young è l’intrusione di un cineasta in un mondo ancora inesplorato (presagio di un futuro sempre più nitido), che porta con sé novità, scuola, ma soprattutto coraggio.
Volume I
Only Refn Forgives

Nella propria carriera (a detta di tanti il più importante cineasta danese dopo Von Trier), ormai sufficientemente ampia, NWR ha esplorato vari confini.
La sua prima creatura, e primo di una trilogia memorabile, The Pusher mostrava una non eccelsa qualità tecnica, dovuta sicuramente al poco budget a disposizione, sommato ad un tesissimo uso di luci naturali, il tutto con telecamera a mano. Un comportamento completamente opposto a quello più recente, di certo, la cui tuttavia trascinante tensione narrata attraverso personaggi empatici, rende la sua prima opera un trampolino di lancio, alto certamente, ma non così tanto per il danese.
Prima che si palesasse la sua opera più culturalmente riconoscibile, il western moderno Drive, Refn passava dal concludere la trilogia poco su citata, incamminandosi verso orizzonti già esplorati, a cui aggiungere un po’ di spezie casalinghe e lasciare il segno.

Nel 2009 con Valhalla Rising NWR portava su schermo il suo primo film in digitale, con cui spazierà fino allo stremo con lo spettatore, silenziando l’intreccio. Refn in tal modo iniziò a mostrarci tutta la sua bravura in riprese ambientali e riflessive.
E Too Old To Die Young? Per comprenderlo meglio è giusto citare un film in particolare, essenziale per ammirare a pieno il lavoro distribuito da Amazon Prime Video: Only God Forgives (Solo Dio Perdona) del 2013. Una storia di vendetta e violenza, la cui dedica finale ad Alejandro Jodorowsky assume il ruolo di legame assoluto con la miniserie.
L’uso quasi eccessivo di simbolismi religiosi, magici, di cui il nativo cileno detiene il primato, fungono da espediente visivo e narrativo nell’opera Refniana. Strizzeranno l’occhio dello spettatore in ogni episodio, soprattutto l’ottavo, trascinandolo in un mondo troppo vicino ad un realismo tangibile, erotico e violento.
Volume II
Antieroi

Prima di incamminarci più sullo specifico nel ruolo rivestito dalla scuola Jodorowskyana, è giusto soffermarsi sul tema fisso di Refn. La violenza umana straripa dagli occhi spenti e letali di tutti i personaggi; Martin Jones (Miles Teller) rappresenta il definitivo giustiziere solitario (banalmente un sicario) alle prese con la rimozione di quel Male, derivante per Refn dalla natura stessa dell’uomo. Non è un caso, infatti, che la distruzione totalizzante del protagonista, in un punto cardine della serie, porta alla luce tutti quei valori tanto alimentati in moltissime sequenze.
Il suo rapporto “a distanza” con Jesus Rojas (Augusto Aguilera), orfano a causa di Martin e determinato a vendicarsi e al contempo a creare il suo regno criminale in America, risulta un gioco di Refn direttamente attribuibile a quel rapporto Gosling-Pansrigram visto in Only God Forgives. È vero che Martin può risultare l’antieroe per eccellenza (non solo refnniano) . Sarà, tuttavia, Jesus (come lo era Pansrigram) a trionfare a pieno, probabilmente poiché spinto da valori sia criminali, ma soprattutto passionali. Elementi che l’alter ego di Teller possiede certo, ma che si rispecchiano poi in un desiderio di privata giustizia fine a sé stessa.
Two Lovers

Questi antieroi si muovono lenti e pazienti come lo fa la cinepresa. Il secondo episodio (Two Lovers) potrebbe tranquillamente essere attribuibile a quella sconfitta di Refn nel duello tra Cinema e Televisione. Dalla durata di un’ora e trentasette (probabilmente la più lunga insieme alla prima), Two Lovers potrebbe definirsi tranquillamente un lungometraggio. Il primo episodio si dedica a Teller e alla sua contestualizzazione nella trama, mentre il secondo vede come protagonista totalizzante Jesus. Tornato in Messico dopo la morte della madre, egli intende conservare l’eredità lasciata dalla defunta, tramutata poi nel piano di tirannia e propagazione di caos e violenza.
Anche se tutti gli episodi possono essere considerabili pellicole a parte a tutti gli effetti, il Volume II sarà quello che più lotterà tra narrazione e stile. Le lunghissime (ma davvero lunghissime) inquadrature sommate ai dialoghi quasi inesistenti, potrebbero allontanare lo spettatore poco paziente o condizionato già di partenza da una poca conoscenza del regista.
Difficile valutarne la grandezza (che c’è) se si pensa essere appartenente al mondo dello streaming televisivo, il cui pubblico non si aspetterebbe un linguaggio autoriale e totalmente cinematografico.
Potrebbero davvero essere questi i due amanti, allontanandoci dal significato romanzesco, in un matrimonio tra stile e narrazione, o, andando ancora più a fondo tra cinema e televisione. Essi litigano, si riconciliano e litigano ancora, ma in realtà si amano con tutto il cuore. È fin troppo chiaro questo ragionamento del cineasta, il quale, ovviamente, curerà in totale autonomia la direzione di tutte le puntate.
“FASCISM IS GOODISH “

Una frase che potrebbe far storcere il naso ai lettori. “Fascism is goodish”, letteralmente “il fascismo è buono”, si ritrova su una lavagna nel prologo dell’ottava puntata (episodio chiave e pseudo-finale di serie). Martin sta per lasciare il suo lavoro da detective, stanco e in procinto di portare a termine la sua crociata contro il male. Per l’occasione gli eccentrici colleghi di lavoro mettono in scena un teatrino per il suo addio. Difficile sarebbe non coglierne il senso di totale similitudine narrativa, oltre che un altro riferimento al tema della violenza, questa volta declinato sulla polizia americana.
Il Fascismo si cela in ombra per tutta la durata della serie. Le svastiche naziste compaiono in contesti vari e l’azione su di esse (sempre con in esame il Volume VIII: The Hanged Man) porterà la riflessione sul mondo in totale balia del male, e non può che spostsr la mente del pubblico fuori dal contesto narrativo ed artistico su quello geopolitico.
Ritornando alla vita, veniamo continuamente bombardati di notizie di un mondo violento, spesso provenienti proprio dall’abuso di potere della polizia americana.
Eros alla Refn
Un elemento visibile forse in piccolissime dosi in The Neon Demon, ritorna prepotente e privo di catene in Too Old To Die Young. Le scene di erotismo passano gradualmente da un approccio esclusivamente sensuale nelle prime puntate fino a raggiungere livelli abbastanza spinti nelle ultime. Sarebbe imperdonabile non citarne l’importanza dell’eros messo in scena da Refn nella serie. Questo rapporto alla “Vertigo” tra Jesus e la defunta madre, che se vogliamo dire essere (e dovremmo) “ritornata in vita” attraverso Yaritza (personaggio che affronteremo a breve) soddisfa in una scena illuminante, straripante di citazioni, il desiderio sessuale ed intimo di un figlio verso la propria madre Magdalena.
Quest’ultima (interpretata da Carlotta Montanari) la si vedrà in pochi frangenti, attraverso i ricordi di un figlio addolorato, ma non solo. La sua morte e la successiva venerazione al limite dalla divinizzazione è il punto cardine del messaggio erotico e sensuale che NWR vuole far trasudare dalla sua opera. La femminilità abusata e devastata prima e vendicatrice e giustiziera alla fine attraverso Yaritza; personaggi legati non tanto dal sangue quanto dalla propria natura, di cui Refn farà tesoro facendo discutere.

Volume III
La Trinità
Passiamo ora alla parte più calda ed importante di Too Old To Die Young, o per lo meno ciò che la rende una boccata d’aria fresca nel mondo televisivo, e un’opera in cui la grammatica e lo stile cinematografico esplodono in tutta la propria creatività e passione grazie all’autore. In questa miniserie, o in Refn stesso, vive con battito regolare un simbolismo alla Jodorowsky già citato in precedenza; in particolare ciò si esprime con la ricorrenza della Trinità (o più precisamente del numero tre), sia da un punto di vista prettamente religioso che estremamente metaforico.

Tre Uomini
A Nicolas Winding Refn diverte probabilmente silenziare gli ambienti e lasciare spazio ad immagini naturali, pieni di oggetti (e soggetti), forme la cui collocazione può solo farsi ammirare e interpretare. Tre sono gli uomini principali che ci vengono mostrati in ordine nelle prime tre puntate: Martin Jones, Jesus Rojas e l’eremita Viggo Larsen (John Hawkes).
Tre sono i mondi che si mescolano tra loro, che collaborano e combattono. Viggo prenderà le sembianze di un Martin più anziano, colui a cui probabilmente il detective aspira a diventare, un mentore essenziale per la propria crociata. Ci viene presentato come un uomo già vicino alla morte, che agisce con ragione senza farsi annebbiare da un amore scoppiato con la propria datrice di lavoro (quel “I love you” di lei al telefono e il silenzio di lui come unico modo per farle comprendere il suo effettivo ricambio).
Uomini il cui trionfo deriva dal loro movente, accumunati da un obiettivo preciso, i quali destini in mano solo ai propri errori, demoni ed azioni, nonostante differenti epiloghi per ciascuno d’essi. Jesus Rojas ha da sé il ruolo più vicino al simbolico numero. Basti pensare ai tre giorni di tortura dell’episodio ottavo, o lo stesso suo nome, attribuito a colui che trionferà e genererà il caos, come un Giudizio Universale, confermato nella conclusione attraverso un monologo lontano dal non rendere ancora più limpido il messaggio apocalittico atteso (ma non visibile perché già esistente) dalla prima all’ultima inquadratura.
Tre Donne
Non esiste un Adamo senza un’Eva, rimanendo nelle similitudini, per cui se tre personaggi maschili principale non bastavano, Refn ci mette sott’occhio anche tre donne: Diana DeYoung, datrice di lavoro di Viggo e Martin (interpretata da Jena Malone), Janey Carter (Nell Tiger Free, già vista in un ruolo in Game of Thrones) diciassettenne fidanzata di Martin e infine non per importanza, Yaritza, moglie e “indiretta consigliera” di Jesus (Cristina Rodlo). Tre donne legate dall’amore, o per lo meno da un rapporto con i tre uomini, il che potrebbe risultare un banale e stereotipato resoconto, ma non è così.

Tre donne lontanissime tra loro. Basti pensare al loro incontro mai avvenuto. Se due si concentrano sull’eradicazione del Male, l’unica tra loro con ancora un obiettivo poco chiaro e sperduto è Janey. Giovanissima per età ma già matura a seguito del suicidio della madre, vittima di azioni non sue, il suo cammino si intreccerà con quello di Martin, l’unico con cui si sentirà protetta.
Differente sembra essere invece la “mandante” Diana, colei che informa Viggo e Martin dei luoghi in cui trovare pedofili e molestatori da giustiziare. Ci viene subito chiaro come ella risulti un personaggio ambiguo, con presumibili poteri paranormali (confermati con più certezza, se vogliamo, nell’ultimo episodio) con cui opererà per i propri scopi superiori.
Yaritza, The High Priestess of Death

Rimaniamo ancora per un poco ancorati su un tema cardine della serie.
La natura femminile qui viene maltrattata, ridicolizzata e abusata; e lo sarebbe sempre se non fosse per il faro rappresentato da Yaritza. Ella compare dal nulla, ma è come se già la conoscessimo. La sua interprete tramite una sola camminata ci mostra un personaggio sicuro di sé, privo di nebbia e cosciente della propria esistenza. “Cos’è” Yaritza, però? Nei suoi primi passi (dal Volume II) ella sembra essere l’amante di un malato capo del cartello e fratello di Magdalena, la cui provenienza ci viene ribadita come misteriosa, anche se descritta come una visione del morente boss: incontrata nel deserto, completamente nuda.
Sarà alla fine dell’episodio che la misteriosa Yaritza prenderà la forma di vendicatrice del dolore inflitto alle donne. Da qui in poi, interpreterà due ruoli. Un doppio gioco sadico visibile anche nelle scene più spinte con il consorte, ma soprattutto nei suoi sguardi. Il suo silenzio quando è semplicemente moglie, sostituito da una furia omicida inevitabile nella parte di carnefice. La dualità è lucida, il che la rende indistruttibile ed ineluttabile per le proprie vittime. Il suo legame con Magdalena, con molta probabilità spirituale, emerge davvero quando si presenta come The High Priestess of Death: la defunta è presente in lei. Esattamente come la natura femminile e le vittime innocenti, in cerca di giustizia e di sangue, dopo anche gli attuali e reali soprusi subiti, una volta usciti dalla dimensione drammatica.
The High Priestess of Death è anche il concetto ultimo dell’opera di Refn. Il suo muoversi tramite gli occhi di chi subisce senza agire, un urlo di aiuto ad un Deus Ex Machina reale, ma che difficilmente esiste in un contesto quotidiano. Yaritza è la giustizia a tutto tondo, in ogni suo significato, e che le donne meritano. Ella è il Deus Ex Machina per eccellenza della serie.
La Passione di Refn
Termine “passione” che detiene qui due onde significative differenti. Una prima passione che è quella per il proprio mestiere. Il danese sfrutta a pieno tutto lo spazio concesso con i dieci episodi. Come mai prima era arrivato, Refn raggiunge qui l’apice del suo stile. La lentezza del movimento di camera, la sua anche totale assenza in certi punti lascia spazio, come accennavamo, ad una grande distribuzione di simboli, uno fra tutti il Crocifisso. Quindi quella Passione, ora in maiuscolo, ci porta verso ad una analisi precisa. La presenza gigantesca di crocifissi lungo tutta la serie detiene riferimenti ad una religione sempre presente, ma che mai agisce, o che probabilmente riappare secondo una propria retorica.

Sarà difficile trovare crocifissi quando accompagnati dai personaggi che potremmo definire “Gli Americani”. Più facile senz’altro ritrovarli quando la narrazione viene spostata su Jesus e il cartello messicano. Inevitabilmente rimbomba nelle orecchie quanto già rievocato prima: i tre giorni di tortura di Jesus, che uccide la propria vittima con un crocifisso sempre attorno al collo, così come quando annuncia il suo piano di distruzione e violenza, senza compromessi o alleanze, ma con scopi di pura tirannia.
Cartomanzia e Paranormale
Too Old to Die Young, o l’Appeso

Non poteva mancare un omaggio, non esattamente velato, a Jodorowsky: la presenza della Cartomanzia. Una pratica divina attraverso la consultazione di mazzi di carte. Non è un caso nemmeno che sia proprio Yaritza colei al comando di queste carte. Il più ricorrente è certamente “L’appeso”. Simbolo che prende sempre più forma lungo le puntate, che poteva già farsi intendere forse, ma che risulterà chiarissimo da uno sguardo finale – e dalla assordante musica di Cliff Martinez – di Yaritza al malcapitato.
Ultimo tema da citare è il paranormale. Per quanto simboli, dialoghi possano darci risposte o interpretazioni, è chiaro con più precisione alla fine, la presenza costante del paranormale. Yaritza parla attraverso il quadro di Magdalena, come se ella prendesse parte del corpo della cartomante completamente; o ancora Diana, contattata da creature d’oltre mondo, tramite un incubo in cui, in qualche modo, conosce il tragico futuro apocalittico attraverso il presagio di un inevitabile arrivo della High Priestess of Death.
Volume Finale
Too Old to Die Young come Neo-Serie Tv
L’omaggio, il cuore, ma soprattutto il coraggio e la ricerca di novità, tutto è in Too Old To Die Young. Refn si muove tra cinema e serie Tv, due mondi che se combinati portano a strade differenti. Se si parla di casi come Breaking Bad (omaggiato a pieno nell’episodio cinque, presentato anche a Cannes insieme al quarto), o anche il più recente (a suo modo) Twin Peaks 3, ci troviamo in strade analoghe. Nel primo caso si ha avuto un chiaro risultato, grazie soprattutto ad un linguaggio più vicino al grande schermo, mentre nel secondo una necessità di interpretazione altissima;
L’opera di Refn è passata troppo in sordina per potersi far conoscere a livello mainstream (almeno per ora), ma non può non farsi considerare parte delle Neo-Serie Tv (passatemi il termine), in cui il cinema e la sua grammatica prendono il sopravvento, allontanandosi da una logica di “attesa” figlia delle serie televisive.

In Too Old To Die Young non esiste il colpo di scena a fine puntata, o il ritorno miracoloso di un personaggio, o avvenimenti voluti dal pubblico, nulla di questo è presente. Con dieci episodi Refn ci presenta dieci plausibili pellicole, unite da loro come se fossero sequel. Ogni episodio potrebbe tranquillamente vivere per conto suo, con una tema legante e una firma ben scritta con un inchiostro che non lascia macchie.
Non a caso la distruzione macabra e crudele del protagonista funge da chiaro messaggio di un’opera lontana dalla propria dimensione da piccolo schermo, con scelte appartenenti a pieno regime alla libertà artistica cinematografica.
la serie è aperta per un seguito: Diana alla fine dell’episodio 9 dice a Vigo che Yaritza si unirà a loro