Le cose che verranno. Dal Festival di Berlino il dramma filosofico con Isabelle Huppert.
Titolo originale: L’ Avenir
Data di uscita: 20 Aprile 2017
Paese: Francia, Germania
Genere: Drammatico
Regia: Mia Hansen-Løve
Sceneggiatura: Mia Hansen-Løve
Produzione: CG Cinema, Arte France Cinema, Detail Film, Rhone-Alpes Cinema
Distribuzione: Satine Film Distribuzione
Durata: 102 minuti
La trama
In “Le cose che verranno” Nathalie, vecchia sostenitrice di idee rivoluzionarie, scrive e insegna filosofia in un liceo parigino. La sua dedizione e la volontà di “insegnare ai giovani a pensare con la propria testa” sono pari al pragmatismo con cui conduce anche la vita privata. Moglie, madre e figlia trascorre le sue giornate in un clima di apparente serenità, sempre devota all’analisi del pensiero filosofico.
Improvvisamente però l’equilibrio é spezzato dalla fine del proprio matrimonio, dalla morte della madre e dall’assenza dei figli, ormai cresciuti. Nathalie si ritrova nella più totale libertà e, con la complicità di un suo ex studente, deve reiventarsi una nuova vita.
Compiutamente dimenticabile: il paradosso firmato Hansen-Løve
Dopo i premi a Cannes, a Locarno e le nomination al César la giovane cineasta francese ottiene il riconoscimento più importante della sua carriera, ossia l’Orso d’Argento per la miglior regia alla 66esima edizione del Festival di Berlino.
Il film se vogliamo é un perfetto “prodotto” (il termine non é casuale) di quel cinema piccolo che si consegna a un’elité di spettatori presumibilmente colti o almeno in possesso di un palato cinefilo esigente.
E del resto come forma ritroviamo le solite costanti: una messa in scena precisa ed elegante, una narrazione lenta ed essenziale, un livello recitativo competente se non ottimo ed uno sguardo personale che si riflette in ogni scelta di tipo estetico-drammatico.
La regista ha molte frecce al proprio arco, ciò che invece risulta meno certo é la capacità di centrare il bersaglio.
Ambivalenza cognitiva
Davanti a “Le cose che verranno” si ha una sorta di ambivalenza cognitiva dovuta alla commistione di un tono, un attaccamento continuo sul personaggio e sugli ambienti di tipo documentaristico, filtrato però da un montaggio (sia visivo che sonoro) che offre repentine schegge poetiche.
La pellicola inoltre é una sostanziosa quanto didascalica accozzaglia di citazioni, di mantra di grandi poeti o scrittori del passato, ai quali la nostra protagonista guarda come banco di prova e punto di partenza per affrontare la propria esistenza.
C’é dunque il cinema, la musica, la cultura in tutte le sue forme, ma soprattutto ci sono gli uomini. Ogni personaggio svolge una funzione precisa nel processo di consapevolezza della (im)matura Nathalie, interpretata da una Isabelle Huppert che reciterebbe grandiosamente anche le Pagine Gialle.
Troppo studiato?
Ogni tassello é al suo posto, ogni scena é evidentemente studiata, scientifica nella funzionalità complessiva.
Questa componente trova sfogo in un’irritante meccanicità della narrazione e soprattutto della costruzione dell’immagine, mettendo a dura prova la pazienza dei nostri occhi.
Il problema maggiore del film credo stia nella sua auto(in)sufficienza, nel porsi come oggetto compiuto, definitivo e rivelatore di verità dalle quali dovremmo attingere a tutti i costi.
La spocchia, tipicamente francese, di dare lezioncine non funziona e danneggia la fruzione complessiva di un film nel quale lo spettatore non si sente necessario.
Non un compitino perché ha delle ambizioni alte, non grande perché si frequenta la sfera dell’intimo e non brutto perché il talento della regista é evidente e trova un suo narcisistico compimento. Brava…
Vi lasciamo al commento finale…
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“Le cose che verranno” è un film curato, ben scritto, diretto ed interpretato. Ecco tutto.