Tetsuo. Ovvero: l’assuefuazione da stupro tra la macchina e l’uomo nel Giappone moderno.
-Andiamo con ordine
Spesso, a proposito del panorama cinematografico, letterario, videoludico (e ultimamente anche riguardo quello di YouTube) si dice che “ormai è già stato fatto tutto”. Solo che, a volte, chi pronuncia queste ardite parole non si rende conto di quanto abbia ragione. Perché in effetti, se si parla di cinema, praticamente hanno fatto già davvero tutto, così “tutto” che spesso buona parte di quel tutto rimane sepolta sotto il resto; sotto le tette di Eva Green (o quelle della Loren per i più studiati). Rimane sepolta e condannata al limbo dell’Internet, senza una calda e confortevole custodia DVD, condannata a non essere doppiata, a volte nemmeno sottitolata per anni, e nei casi peggiori viene condannata alla non-esistenza, né sulla rete né sui siti di streaming o di torrent. Certo, è raro che si verifichino tutte queste condizioni insieme, ma il sistema di consumo-produzione cinematografico non cessa mai di stupire.

-Il Film
“TETSUO”, o “TETSUO – THE IRON MAN”, viene fuori proprio da qui, ed è uno dei molti lungometraggi stipati in polverosi scatoloni, buttati in un solaio altrettanto polveroso e lasciati lì a marcire finché qualcuno non ci inciampa sopra. Certo, noi adoratori del cinema “underground” ci saremo sempre, sopravviviamo negli anni, ma ultimamente preferiamo incontrarci nel sottosuolo delle metropoli e tra le mura di manicomi abbandonati, confrontando le nostre scoperte tra una messa satanica e una pizza con le banane; attendiamo il giorno in cui i cinefili-quelli-belli cesseranno di guardarci come si guarda il nipotino emo ai cenoni di natale. C’è da dire che “Tetsuo” non è quel tipo di film che contribuisce ad appianare le divergenze…
Nato nel 1989 dalla fantasia di Shinya Tsukamoto, capostipite del filone cyberpunk asiatico, “Tetsuo” è uno di quei film “graziati” dal tempo, dato che ora è acquistabile in DVD e c’è ancora chi ne parla; in fondo nel suo essere un film “di nicchia” è a tutti gli effetti un classico ed i classici sono duri a morire. Sulla rete è visionabile con facilità, ma ci si deve accontentare dell’audio originale sottotitolato in inglese (in italiano, solo se siete davvero fortunati); sappiamo tutti di essere circondati dai cinefili-quelli-belli che vogliono la lingua originale perché è più meglio, però forse l’inglese non è il massimo per un italiano.
Nonostante questo è un film godibilissimo, Tsukamoto avrebbe potuto tranquillamente girare il suo capolavoro senza far parlare gli attori poiché qui, più che la parola, trovano spazio i gemiti di piacere e le grida di dolore, concetti che perderebbero di valore se espressi con il parlato.
-Il Cast
Attore protagonista è Tomorowo Taguchi, uno dei collaboratori storici di Takashi Miike, cineasta celebre per i suoi film sulla Yakuza. Al suo fianco troviamo Kei Fujiwara, che in questo film é anche direttrice della fotografia e costumista. Infine abbiamo Tsukamoto stesso nei panni dell’antagonista.
-La Trama
Tomoo Taniguchi (Tomorowo Taguchi, complimenti per la fantasia) e la fidanzata (Kei Fujiwara) si stanno godendo una tranquilla gita in macchina per la città quando all’improvviso un uomo (Tsukamoto) sbuca improvvisamente dal nulla davanti alla macchina in corsa e Taniguchi, non avendo tempo di frenare, lo investe. La vittima è un autofeticista che prova piacere nell’innestare componenti meccanici come chiodi e altra robaccia dentro il suo corpo, ficcandoseli in ferite autoinflitte; durante una di queste sessioni di automiglioramento il suo organismo ha una reazione di rigetto e, spaventato, l’uomo inizia a correre per la città, finendo poi sotto le gomme della macchina di Taniguchi.
Temendo delle logiche conseguenze e ritenendo il tizio completamente stecchito, i due ragazzi decidono di nascondere il cadavere in un bosco e così fanno, ma quando stanno per tornare alla macchina si rendono conto che l’amico non era del tutto morto e li ha visti in faccia.
Ora: un consumatore medio si aspetterebbe che i due fidanzati, ritenendo di essere andati fin troppo oltre, decidano di uccidere il feticista e cerchino poi di non essere incastrati dal proverbiale commissario di polizia divorziato e vicinissimo alla pensione, che non riesce a togliersi dalla mente il giorno in cui morì il suo collega. Ma questo è un film malato, anzi è un film malato e giapponese, e nei film malati e giapponesi succedono cose diverse. Molto diverse.

-Perché “Cyberpunk”?
“Tetsuo” è un film cyberpunk, o meglio era cyberpunk prima che il cyberpunk diventasse l’ennesima scusa per vendere scarpe e mostrare le tette indossando una maschera antigas. Cyberpunk significa alienazione, predominanza prepotente dell’inconscio, nuovi livelli di percezione e infine la perversione psicotica nei legami tra l’uomo e la macchina e, in questo caso, tra l’uomo e la macchina che pulsa nelle vene della città e schiaccia l’uomo che vive come il verme nella mela marcia.
L’uomo alienato, solo, perché Taniguchi è davvero solo; non c’è amore nel suo rapporto con la fidanzata, solo una perversione che dal sesso degenera nella morte violenta, mentre con il feticista questo legame segue il sentiero opposto, dalla disarmonia e all’odio si giunge a un sinistro abbraccio dove l’uomo è definitivamente morto e la macchina ha acquisito coscienza di sé. O meglio, ha acquisito sufficiente coscienza di sé per provare l’unica emozione presente in tutta la pellicola: odio. Verso sé stessi e verso gli altri.
-In conclusione…
“Assuefazione da stupro”, come da titolo, perché in ogni minuto del film vediamo, raccontata in modi diversi, nient’altro che l’intrusione prepotente e violenta di un corpo estraneo dentro un altro: c’è solo una scena dove si allude ad un rapporto sessuale sano, ma esso non viene mai consumato perché la malattia dello stupro e della macchina ha ormai invaso la carne e la mente dell’uomo, e come accade a Ellen Hutter in “Nosferatu” o alla donna di “Un Chien Andalou”, la femmina-ricevente non ha altra scelta se non quella di lasciarsi andare al violento atto mortale. Ma mentre Ellen attende il morso del vampiro con rassegnazione e Simone Mareuil lascia che il rasoio di Buñuel le tagli l’occhio senza lasciar trasparire emozione alcuna, Kei Fujiwara cerca la sua penetrazione mortale con inconscio e perverso desiderio. Per Taniguchi invece la storia continua…

Ne vale la pena?
Ovviamente sì. Ma è un film che ha dei difetti, il più importante è quello che si avverte seguendo la trama, dove si intuisce nella scrittura una certa frettolosità mal gestita, che ha portato la storia a non essere raccontata al meglio delle sue possibilità, lasciando dei veri e propri interrogativi su cosa stia succedendo e perché, ma fortunatamente accade una volta sola e non offusca la visione d’insieme.