Perché Nanni Moretti dovrebbe girare un film targato Marvel Studios?

Il cinema di Moretti è sempre stato un cinema piuttosto interessante.

Nanni Moretti

Sin dalle pellicole con protagonista Michele Apicella, ho sempre apprezzato ed analizzato con divertimento la figura di Nanni Moretti ed il suo cinema, intendendolo sempre come un unico grande romanzo. Un romanzo descritto per mezzo di un medium con il quale il regista voleva raccontare agli altri cose che aveva urgenza di condividere ed, ovviamente, anche di sé stesso.

Il risultato finale è la realizzazione di una complessa galleria di personaggi e di maschere, le quali si susseguono nelle pellicole per dar forma allo smarrimento della presenza e a un presente privo di spessore, incapace di confrontarsi con il passato e di immaginare un futuro.

Per questo motivo, proprio per questo smarrimento del presente, per il concetto di maschera e per l’incapacità d’immaginare un futuro, che sia esso roseo o catastrofista, con l’aggiunta di un’ironia totalmente consapevole della tradizione della commedia all’italiana (alla quale prende anche distanza, celebre è il famoso “Te lo meriti Alberto Sordi” pronunciato in Ecce Bombo) ho pensato:
Ma quanto sarebbe interessante vedere Moretti all’opera in un film targato Marvel Studios!
Prendere cioè un personaggio di un fumetto Marvel ed utilizzarlo per raccontare sé stesso e descrivere questo smarrimento del presente.

Il supereroe

Marvel, Nanni Moretti

Il supereroe, molto spesso, è definito con estrema semplicità come un personaggio (inizialmente appartenente al mondo dei fumetti poi divenuto personaggio cross-mediale per mezzo di libri, cartoni animati e film) che si caratterizza per le sue doti di coraggio e nobiltà e che generalmente ha abilità straordinarie rispetto a quelle degli esseri umani normali, dette superpoteri, oltre a possedere un nome e un costume pittoresco. I supereroi trascorrono il loro tempo combattendo contro mostri, alieni, disastri naturali e supercriminali.

Ma questa è semplicemente la base della base per analizzare la figura del supereroe in quanto dietro ogni maschera e personaggio si nasconde la figura cardine che costruisce il supereroe dandogli un nome, un costume, una motivazione specifica, insomma la figura che dà vita al supereroe: l’uomo (tralasciando ovviamente le dovute eccezioni come Visione o personaggi come Sentry).

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Uomini straordinari, decisamente superiori di un normale essere umano, ma schiavi dei loro stessi poteri e della loro stessa condizione. Un mix di meraviglia e di maledizione.
Scavando nel profondo della loro teatralità pittoresca fatta di nomi (Spider-Man, Iron Man, Vedova Nera…), di battute (Spider-Man è l’icona della figura ironica supereroistica) e di nemici da sconfiggere, togliendo la maschera si scopre la loro irreperibilità dal resto del mondo, il loro smarrimento, il loro glissare fra realtà e finzione, passato e presente, privato e pubblico, persona e maschera, maschera e personaggio, maschera singola e plurale, personaggio e figura.

Essi sono impediti dall’azione, sono uomini bloccati nel tempo e nello spazio, costretti ad errare in un continuo ciclo di scontri con nemici e di salvezze dell’umanità, completamente frantumati nella doppia identità, quella umana e quella supereroistica, oramai irreparabile e sempre in cerca di dare un senso al presente in cui vivono ed isolati per la loro diversità (per scelta o per obbligo).
Supereroi non solo come proiezioni dell’umano ma come vere identità, potenziamenti dell’umano capaci di amplificare la forma, la consistenza, i desideri, i sogni dell’essere umano che si nasconde dietro la maschera.

Nanni Moretti

Individui straordinari ma patologici

Nel caso di Moretti, i personaggi e le maschere della filmografia sono individui straordinari, in parte anche supponenti, affetti da patologie fin troppo esibite, dall’utilizzo smodato di cliché linguistici e comportamentali.

Le nevrosi grottesche di Michele Apicella, la rigidità morale di Don Giulio, protagonista de “La messa è finita” (1985). La parodia di un regista che non riesce a realizzare il proprio film in “Caro Diario” (1993), l’incapacità della Sinistra di creare un linguaggio per dialogare con gli immigrati albanesi in “Aprile” (1998).
Il padre, Giovanni,  de “La stanza del figlio” (2001), per chi vi scrive la vera, ultima tappa di quell’unico grande romanzo che è la filmografia di Moretti, iniziato con l’autarchia e informato da un modello comico-grottesco che, in età adulta, sfocia nel tragico. Un padre tormentato dalla colpa e afflitto dal dolore insostenibile per la morte del proprio figlio.
Le maschere indossate per ri-costruire la faccia di Berlusconi e con essa trent’anni di politica italiana ne “Il Caimano” (2006), lo smarrimento del neo-eletto papa (Michel Piccoli), il cardinale Melville, in “Habemus Papam” (2011).

Infine, le inquietudini della regista Margherita in “Mia madre“, interpretata da Margherita Buy, che è un intercessore di Moretti, quasi un potenziamento ed alter ego alla stregua di un Apicella. Un alter ergo capace di elaborare la crisi profonda che attraversa il mondo del lavoro e delle sue tutele e le difficoltà familiari costituite dall’aggravarsi delle condizioni di salute della propria madre.

Michele Apicella

"Michele Apicella" in "Bianca"
“Michele Apicella” in “Bianca”

Tra tutti questi personaggi, queste maschere che nascondono ciò che sono veramente, che giocano o subiscono il gioco della dualità tra realtà e finzione, realtà ed oniricità, vorrei prendere in considerazione la figura rappresentativa di tutta la filmografia morettina: l’ormai citatissimo Michele Apicella.

Michele Apicella è nato da qualche parte tra Roma e Frascati intorno al 1953 (stesso anno di nascita di un’altra certa persona). Ha fatto varie cose in quel suo modo stizzito e nervoso, distaccato e supponente che gli è valso il soprannome di “principino”. Ma più di tutto è stato un grande alter ego.

Non è un eteronomo, non è una semplice proiezione del Moretti reale. Apicella è un’altra identità, un’altra figura, un potenziamento di Moretti, un’altra figura vagabondante all’interno di un presente privo di credibilità, sempre alla ricerca di realizzare qualcosa nel mondo (in “Bianca”, ad esempio, Michele è un professore di matematica nella scuola Marilyn Monroe, un paranoico apparentemente normale, che vive nell’ossessione di aiutare gli altri a trovare “l’amore perfetto”).

Il grande talento di Apicella era quello di saper rivoltare da dentro a fuori il suo creatore, di sviscerarlo e di far sbrodolare sul pavimento le esasperazioni del suo carattere assieme alle budella.
Di puntellare ogni scena con le schifezze della sua indole, come meglio sapeva (o credeva) di fare.
Il creatore, l’uomo dietro al personaggio, pensava a una cosa e Apicella l’amplificava, la gridava con una voce stridula e gracchiante, possibilmente in faccia a qualcuno, la sbatteva assieme alla cornetta di uno di quei vecchi telefoni tintinnanti.

Nanni Moretti

Sincero e odioso, diretto e detestabile

Esprimere le proprie emozioni senza porre alcun filtro, spararle fuori da sé con una forza irrefrenabile senza chiedersi chi avrebbero colpito, lo rendeva odioso. Sincero e odioso, diretto e detestabile.
E lui non lo capiva mica il perché. Continuava a chiedersi perché non stesse simpatico alla gente e quando qualcuno dei suoi cosiddetti “amici” gli rispondeva:
Michele, la gente non vuole sentirsi giudicata” lui replicava:
Ma io non la giudico, mi limito a riportare l’evidenza, per esempio tu, di politica, non ci capisci un cazzo.
E se non era la politica era l’umorismo, e se non era l’umorismo era il calcio, e se non era il calcio era il cinema. Anzi, era soprattutto il cinema!

Cinema, la massima espressione della sua superiorità, della sua supponenza, forse perché si trattava di una proiezione (in questo caso è giusto dirlo) nella proiezione. Il personaggio Apicella, proiezione del suo creatore, a cui veniva dato il privilegio di proiettare se stesso, di esagerarsi ancora di più. Quindi faceva la primadonna, quando c’era in ballo il cinema.

Saliva in cattedra, svuotava i polmoni senza concedere alcun diritto di replica e divertendosi a stuzzicare i punti sensibili delle persone, dei suoi nemici, a scontrarsi contro gli oppositori agli ideali di giustizia e della verità.
Si arrogava il diritto di parlare per tutto il sistema, perché lui stesso credeva di incarnarlo.
Io sono il cinema” diceva, e certamente, da qualche parte nel ragionamento malsano che lo aveva portato a formulare una dichiarazione del genere, esisteva un fondo di ragione.

Apicella era il cinema di un certo periodo.
Un cinema che aveva la pretesa di non essere né divertente né drammatico, ma nemmeno lontanamente reale, ed era la sua dimensione. Un cinema vicino ad una politica ideologica, talmente ideale da diventare irraggiungibile, talmente utopistica da diventare un sogno e quindi qualcosa per cui valeva la pena vivere.
Un vortice di pensieri complessi che alla fine di tutto non hanno risolto niente ma hanno tenuto occupata tanta gente che non dava l’idea di voler stare dove stava ma non sapeva dove stare, proprio come Apicella.

La perfezione dolciaria

Dopo il cinema venivano i dolci.
Ma se per il primo si sentiva un guru, un portabandiera, i secondi lo mettevano in estatica soggezione per via della loro perfezione.
Conosceva un’infinita serie di regole su come mangiare un dolce senza offenderne la grazia, esaltandone l’enormità.  Nessuno avrebbe potuto gustare una torta in sua presenza, perché nessuno ne comprendeva l’essenza quanto lui.
I dolci per Apicella erano la fede della quale ostentava la mancanza, il mistero creato per rimanere tale. Se ne poteva conoscere ogni particolare, ricamarci intorno un catechismo rigoroso. Era pomposo, devoto, integralista.

Ho sempre visto Apicella come una grande scatola, piena di tutto ciò di cui era in grado di riempirsi, che occasionalmente pescava nella vastità della sua supponenza per scattare in avanti e imporre un’arroganza che faceva da schermo alla propria estrema fragilità.

Nanni Moretti

L’eccezionale dietro al quale nascondersi

Apicella sta a Spider-Man come Moretti sta a Peter Parker (sto facendo un esempio generico, in quanto ad una figura come Apicella si addice molto, nello specifico, una figura come quella di Tony Stark).
L’individuo eccezionale grazie al quale Moretti restava nascosto, al buio. Quando si tratta di alter ego, di simboli, d’icone, d’identità segreta, c’è ben poco da sproloquiare su temi come l’individualità, il carattere, la stima di sé.

Apicella sapeva fingere, anzi Apicella era una grande finzione.
Sapeva fingere di essere pazzo, di amare le scarpe, di non sopportare la musica leggera italiana, di essere un fissato dell’igiene tanto da dare fuoco al bagno, di innamorarsi.
Sapeva fingere perché doveva farlo, perché era necessario, doveva esagerare il suo io di personaggio inventato perché per sua natura non ne possedeva uno proprio. O, avendolo, poteva essere una persona debole (come Peter Parker e Steve Rogers) o una persona forte ma profondamente schiacciata dall’ombra del passato (il rapporto tra Tony Stark e suo padre).

Michele Apicella era una figura che soffriva molto (“Perché tutto questo dolore? A te sembra giusto? A me no”) e non gli andava mai bene niente. Era insoddisfatto di sé e della condizione del mondo circostante. Riteneva tutto come perfezionabile e cercava in tutti i modi, accelerati o pigri, di cambiare il presente.
Non sembrava provare emozioni, ma viveva di una preoccupazione logorante e continua che finiva per trasmettere a chi gli stava intorno, sempre alla ricerca costante di cambiamento.
Ecco la necessità di animarsi delle passioni che gli erano state concesse e di esagerare quanto bastava a confondere le acque e a mescolarsi con la persona reale dietro i baffi e i capelli a bandiera. Fare propria un’emotività inesistente fino ad emozionare e offendere davvero e provare il cambiamento.

Non solo Apicella, l’immersione e l’erranza nel presente alla ricerca di risposte (etiche, politiche, ecc…) da dare al mondo per un minimo di cambiamento e di sviluppo sono presenti in tutto il cinema di Moretti. Ma all’interno di esso, vedo il personaggio, la maschera di Michele Apicella, come la massima espressione.

Una lettera d’amore

L’articolo, oltre a portare in auge una divertente analogia tra i supereroi e Moretti, vuole essere anche una lettera d’amore al regista originario di Brunico.
Moretti, con il suo cinema, ha saputo descrivere il nostro presente consapevole del patrimonio culturale italiano e consapevole della tradizione della commedia all’italiana e della tradizione neorealista.

Nanni Moretti

Ma ha saputo anche portare in scena dei personaggi straordinari, degli individui eccezionali, nevrotici, paranoici, in aperto distacco con il resto del mondo, impediti dall’azione ed erranti in un presente quasi senza speranza.
Questo grazie in special modo alla figura di Michele Apicella, un Tony Stark senza armatura, meno ricco ma sicuramente più supponente, più arrogante dell’analoga figura fumettistica, ma con dentro di sé degli ideali di verità e di giustizia che lo spingono al cambiamento di un presente disastrato.
Cambiamento in teoria, ma che in pratica originava delle situazioni alquanto esplosive. Come nel caso di “Bianca”, nel quale Michele è ossessionato dalle coppie e dall’amore perfetto ed è per questo che ucciderà le persone che secondo lui tradiscono l’ideale.

Nessuno ha saputo portare all’eccellenza personaggi nevrotici e paranoici ma altamente straordinari come Moretti. Molti ci hanno provato ma nessuno ci è pienamente riuscito.
Di Moretti ce n’è uno e tutti gli altri son nessuno e, sinceramente, ho già detto abbastanza su questo argomento e non vorrei continuare a scrivere parole, parole, parole e ancora parole. Sarebbero solo inutili e decisamente eccessive.

Dopotutto, le parole sono importanti.

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