Il 2018 sta per concludersi ed è tempo delle Top di fine anno dedicate ai film preferiti dell’annata. Ecco quella di Ettore Dalla Zanna.
La lista con cui state per approcciarvi non prende in esame il calendario delle uscite italiane di questi film, bensì tutti i film usciti nel 2018 in generale (anche quelli inediti non ancora usciti in Italia). Inoltre, la lista è, ovviamente, personale e non prende alcun metro di giudizio se non quello puramente soggettivo dell’autore di questa Top. Buona lettura!
20) One Cut of the Dead di Shin’ichirô Ueda
Portato nelle sale italiane, come evento speciale, con il vergognoso titolo di “Zombie Contro Zombie“, questo piccolo horror indipendente girato veramente con quattro soldi è uno sberleffo ironico, anarchico, frenetico che riflette sulla cinica mentalità che guida produttori e reti televisive per ottenere prodotti di massa che sappiano dissetare palati considerati superficiali e prevedibili. La sua aria da “Boris” ambientato in Giappone e con uno zombie movie da realizzare al posto de “Gli Occhi del Cuore” ed il grande divertimento che offre non possono solo che farlo apprezzare.
19) Double Vies di Olivier Assayas
In arrivo in Italia con il titolo di “Il gioco delle coppie” (stendiamo un TELO pietoso anche per la traduzione di questo titolo), “Double Vies” (o Non Fiction) è Assayas a livelli altissimi che non si vedevano da tempo. Invidia, doppie vite, analogiche e digitali, coniugali ed extra caratterizzati da una sceneggiatura brillante e vorticosa ed una freschezza recitativa sapientemente coadiuvata dalla regia. Una delizia. Non premiato ingiustamente all’ultima edizione della Mostra del Cinema di Venezia.
18) Stan & Ollie di Jon S. Baird
Miglior omaggio alle figure di Stanlio ed Ollio (Stan Laurel ed Oliver Hardy) non poteva esserci. La storia di una delle coppie più celebri della Storia del Cinema, la storia di una grande amicizia, raccontata come se fosse una storia d’amore. Riguardo a questo punto, è sensazionale il momento in cui il Laurel di Steve Coogan davanti a sua moglie dichiara il suo profondo affetto per Hardy a livelli quasi da coming out. La decadenza fisica contrapposta alla perpetua magnificenza dell’arte di questa mitologica coppia.
17) They Shall Not Grow Old di Peter Jackson
Come fatto tempo fa con “Forgotten Silver“, Peter Jackson torna a legare il passato ed il futuro, il pre-cinema ed il post-cinema, con l’elemento significante del cinematografo: l’immagine. Quest’ultima da sempre un terreno di esplorazione e di sperimentazione costante, l’origine di ogni narrazione contemporanea. Setaccia gli archivi di guerra e quegli orizzonti di “gloria” in 4:3 ed in bianco e nero divengono colorizzati, irrobustiti di computer grafica, di formato panoramico, di sonoro multi-traccia. Di sottofondo le testimonianze dei veterani di guerra, fluenti, senza interruzioni, con dialetti diversi, dallo scozzese al gallese. La testimonianza storica che viaggia in parallelo con un’esperienza narrativa che richiama David Lean o lo Spielberg di “Salvate il Soldato Ryan“. Un blockbuster con le immagini d’archivio. Un nuovo radicale modo di guardare il passato. Chapeau a Jackson.
16) Sunset di Laszlo Nemes
Se “Il Figlio di Saul” era l’essenzialità fatta audiovisivo, la seconda opera del regista ungherese è barocca e virtuosistica. Non un male visto il risultato finale. “Sunset” è sontuoso nella sua ricostruzione storica del 1913 (la quiete prima della tempesta dei movimenti di chi desidera porre fine allo status quo). Costumi, ambienti, veicoli e pettinatura sono studiati in ogni loro dettaglio e la macchina da presa non molla mai la presa del personaggio della magnetica Juli Jakab. Il volto dell’attrice cinto con primi piani stretti per accompagnare le sue reazioni o le si poggia sulla spalla portandone con sé battiti, trepidazioni, respiri e ansie. Per chi vi scrive alcune suggestioni che dà il film hanno fatto ricordare il “Tess” di Polanski.
15) Avengers: Infinity War di Anthony e Joe Russo
Ultracitazionista, eccessivo, divertente, epico, capace di amalgamare tutti i protagonisti concedendo il giusto spazio ad ognuno, capace di proporre un racconto dalle diverse situazioni narrative, ridanciano o serioso quando vuole esserlo. E poi il cattivo. In Thanos vi sono la compostezza di un Darth Vader e l’intelligenza di un Hans Gruber con la pelle viola. Thanos ha personalità, ha una propria etica (diversa ovviamente da quella dei Vendicatori). E’ intenso, malinconico, con un vissuto, dei trascorsi, che il pubblico comprende e che condivide. Thanos è volontà di potenza, ma anche comprensibile debolezza. Irripetibile forse come film, anche per Endgame probabilmente.
14) Creed II di Steven Caple Jr.
Un grande film sul pugilato, sul rapporto tra padri e figli (biologici o spirituali), sul rapporto tra nemici molto lontani ma incredibilmente vicini. “Creed II” è un film che racconta di esseri umani incompleti, che lottano con le proprie pulsioni. Frustrazioni, dolore, conflitti interiori direttamente proporzionali alle costole fracassate, agli occhi pesti, alle labbra spaccate. “Creed II” è il dramma umano in cui non conta la vittoria sul ring della boxe e della vita, ma conta la redenzione, che sia questa per un conflitto interiore con il proprio padre o per arginare la condizione esistenziale post-Unione Sovietica. Ben diretto e con una sceneggiatura perfetta in grado di reinventare i concetti e le basi della saga di Rocky e consegnarla alle nuove generazioni. Per un nuovo mondo e per nuovi occhi della tigre. Clamoroso.
13) Green Book di Peter Farrelly
Un road movie con protagonisti due emarginati della società americana. Uno, perché accusato di esser figlio di coloro che portarono la Mafia in America, l’altro per il colore della pelle. Una tournée nel profondo Midwest che diventa una ricerca della libertà e della speranza ai tempi dell’Amministrazione Kennedy. I drammi, i difetti dei protagonisti si uniscono, diventano una forza indispensabile e permettono ai due interpreti di essere una delle coppie più potenti degli ultimi anni. Uno dei migliori personaggi di Viggo Mortensen, il monologo sotto la pioggia del personaggio di Mahershala Ali, l’abbraccio dei due alla fine del film, alcuni dei tanti elementi che raccontano una delle più belle storie umane degli ultimi anni. Perché quando sono scritti magnificamente, i rapporti tra le persone sono il miglior spettacolo di sempre.
12) Loro di Paolo Sorrentino
Nel vedere il dittico di “Loro“, la mente mi ha riportato ad uno dei contenuti speciali del Blu-Ray dello “Scarface” di Brian De Palma, quello dell’intervista allo stesso Paolo Sorrentino in cui viene analizzata la scena nel ristorante in cui Tony Montana considera la sua vita di poco contenuto. Ha avuto tutto dalla vita: un impero, una bella moglie, i potenti tutti ai suoi piedi. Eppure gli manca una cosa fondamentale: una salvezza. Proprio per quest’ultimo elemento, Sorrentino ha scelto Silvio Berlusconi come suo Tony Montana e Loro come suo “Scarface“. Raccontare le pulsioni vitali che contraddistinguono l’esistenza e che fanno distogliere lo sguardo umano dalla morte, dal vuoto, dal nulla. Come la pulsione di prendere l’elenco del telefono, chiamare una signora e cercare di donarle un sogno. La grinta del persuasore, la scossa elettrica che provoca questo mestiere (“Noi siamo venditori. E il venditore è l’uomo più solo del mondo, perché parla sempre e non ascolta mai“). La stessa grinta del persuasore che ha rapito Veronica Lario e l’Italia.
11) Dragged Across Concrete di Steven Craig Zahler
Ancora una volta, Steven Craig Zahler si dimostra straordinario nel saper fondere diversi generi cinematografici senza trascurare altre contaminazioni, tornando a parlare della classe medio-bassa in modo impressionante, descrivendo un’America in costante deterioramento nella quale il capofamiglia deve prendere una decisione, anche molto drastica. Straordinari Vince Vaughn e Mel Gibson, specialmente il secondo. Il personaggio di Gibson è un mix tra il nichilismo di Martin Riggs e la disillusione di una grande vita che sembra persino riflettere ciò che è accaduto nella vita di Gibson. Zahler è il John Carpenter dei nostri tempi, per come si approccia al genere, per come innesca messaggi, per la capacità di andare sempre al punto senza fronzoli, dando l’impressione di sapere molto bene cosa conta e cosa no, anche in un film di due ore ed oltre. E dopo aver fatto un western sanguinolento come “Bone Tomahawk“, dopo aver realizzato “Brawl In Cell Block 99” che sembrava un film grindhouse diretto da Robert Bresson e dopo aver rilanciato (da sceneggiatore e produttore) la serie di “Puppet Master“, continua la carriera di questo grande ed adorabilmente folle cineasta.
10) Ready Player One di Steven Spielberg
Il grande atto d’amore nei confronti degli Anni Ottanta poteva essere fatto solamente dal Re degli Anni Ottanta. Si potrebbero fare riflessioni sulla realtà virtuale, sul lascito dell’immaginario degli Anni Ottanta, sul sangue di “Shining” che si scontra con la CGI dell’avatar virtuale, ma tutto sarebbe superfluo. Lo metto tra i migliori del 2018 senza dire una parola di più che è incredibile, bellissimo, eccezionale. Una lezione per chi vuole fare cinema d’intrattenimento. Quello serio, concreto, folgorante che vale dieci volte tanto certa robaccia pseudo-autoriale.
9) Dogman di Matteo Garrone
Un mosaico policromatico fa dà cornice ad un western urbano nel quale Matteo Garrone, nel descrivere il degrado totale, riserva grande spazio nel tratteggiare la tenerezza. E lo fa aiutato magnificamente da Marcello Fonte, viso pasoliniano, che interpreta un dogman dolce ed affettuoso che deve fare i conti con il male strisciante che infesta il mondo degradante in cui vive e che, se non dotato di potenti anticorpi culturali, risulterà inevitabilmente contagiabile e contagiato. Dove prima c’è calura e solarità, poi incomincia ad esserci umidità, pioggia, fanghiglia, sudiciume. Gli unici appigli forse sono i raggi di sole che compaiono nel momento in cui ricompare la figlia per ritrovare un padre sempre più amareggiato che nel finale, simile a “Blow-Up“, constaterà l’incomunicabilità con il mondo circostante, nella vuota piazza centrale che diventa inevitabilmente anche il grande vuoto dell’Esserci.
8) Mission Impossible: Fallout di Christopher McQuarrie
Un superlativo action movie in cui Tom Cruise e Christopher McQuarrie si riuniscono per fare un altro grande capitolo della saga di “Mission Impossible“. E se nel raffinatissimo “Rogue Nation” vi era l’intrigo ed il mistero (con annesso uno degli omaggi più belli ad Alfred Hitchcock durante la sequenza della Turandot), in “Fallout” vi è l’azione più sfrenata diretta e montata magnificamente e, per questo, il Cinema ne fa estremo benificio. L’inseguimento fra le strade di Parigi, la sequenza nel bagno, il finale con gli elicotteri. E poi Henry Cavill! Il mic drop più forte della carriera di Tom Cruise.
7) BlacKkKlansman di Spike Lee
Felice di ritrovare anche Spike Lee in questo 2018. “BlacKkKlansman” è un film d’exploitation, prodotto assieme a Jason Blum e Jordan Peele, che ha un high concept solidissimo e vincente: un poliziotto afroamericano che s’infiltra nel Ku Klux Klan.
Con una base del genere, Lee non può che approcciarsi alla commedia, alla burla, allo sberleffo più concitato senza mai disdegnare i momenti di serietà. “BlacKkKlansman” è potentissimo nella ricostruzione del 1979, nella colonna sonora disco di sottofondo, nel come tratta il razzismo sotto le sue svariate forme e la sua trasformazione nel corso dei tempi (e per questo è superlativo la citazione a “The Birth of a Nation” di Griffith, il primo film che mette in evidenze le contraddizioni dell’uomo diviso tra amore e odio). Il White Power ed il Black Power acuiti come estremismi paradossalmente con diversi punti in comune.
E poi colpisce il finale duro, attivista, come il primo Spike Lee. Quello di “Fa la Cosa Giusta“, quello che, con taglio documentaristico, ci mostra tutta la violenza di Charlottesville. E poi la bandiera americana a stelle e strisce che, a poco a poco, si tinge di bianco e di nero.
6) Un Affare di Famiglia di Hirokazu Koreeda
Efficace la scelta del poster del film. Un ritratto di famiglia felice e sorridente che, dopo la visione del film, va chiaramente a disfarsi andando a svelare la verità dietro le apparenze più rosee. Il film di Koreeda squarcia i canoni convenzionali della famiglia. Ed il cineasta giapponese riesce a fornire un profilo ben definito agli Shibata, in grado di affrontare molti temi anche delicati o spinosi come gli abusi sull’infanzia, la precarietà della vecchiaia, la difficoltà di trovare un amore sincero in una società dalle numerose limitazioni di classe, la necessità di sopravvivere anche a costo di azioni disoneste. Mi auguro tra 40 anni di vedere Koreeda considerato ai livelli dei maestri orientali. Koreeda, l’unico, nel panorama cinematografico orientale contemporaneo, in grado di realizzare grandi drammi realisti su persone in condizioni economiche disastrate. La Palma d’oro più meritevole degli ultimi anni.
5) The Other Side of the Wind di Orson Welles
Un po’ 1970, un po’ 1976, distribuito nel 2018 su una piattaforma streaming. Incredibile il tragitto di questo film. Welles gira il suo film più autobiografico e per farlo al meglio si affida ad un altro titano del Cinema: un John Houston anziano, rugoso, scorbutico ed affascinante che interpreta Hannaford, cineasta maledetto di ritorno a Hollywood dopo un esilio volontario in Europa, alle prese con le complicazioni frenetiche di questa sua ultima opera che pare un “Zabriskie Point” più sbrindellato. Una grandissima lezione di Cinema che si concede ad un delirio visivo dal montaggio scatenatissimo ed alla denuncia con sarcasmo delle bassezze e dei sotterfugi di un mondo di compromessi come quello della produzione cinematografica.
4) Spider-Man: Un Nuovo Universo di Bob Persichetti, Peter Ramsey e Rodney Rothman
Girato prima in digitale per poi essere ridisegnato frame per frame per dargli quell’effetto che unisce l’animazione 3D ed un’animazione simile a quella stop-motion. “Spider-Man: Un Nuovo Universo” è una gioiosa esaltazione del canone dell’Uomo Ragno (tutti possono essere Spider-Man ed in molte varianti). È quando i segni del linguaggio fumettistico si fondono a quelli del linguaggio cinematografico dando vita al primo cinefumetto propriamente detto e scevro dal convenzionale adattamento. Perfetto nel ritmo, nell’intelligenza e straordinario per ogni sequenza, personaggio, stile presentato. Già solo per l’animazione non convenzionale, è da considerarsi un titolo inevitabile con cui confrontarsi nel venturo panorama dell’animazione cinematografica. Il miglior film di Spider-Man, il miglior film d’animazione dell’anno, uno dei migliori cinecomics di sempre.
3) Roma di Alfonso Cuarón
“Roma” di Alfonso Cuarón è un viaggio nell’impero della mente del regista messicano in cui la nostalgia, la memoria e la storia del Messico di quel periodo si mescolano per dar vita a qualcosa di magico. Un Amarcord interessante, commovente e politico. Grande umanità. Le sequenze del mare periglioso sono tra gli squarci più belli degli ultimi cinque anni, assieme a quello nella sequenza al cinema dove viene rievocato “Abbandonati Nello Spazio” di John Sturges, film essenziale per Cuarón per la realizzazione di “Gravity“. Esorcizzare una cicatrice personale con il suo miglior film. Missione compiuta, Alfonsito.
2) An Elephant Sitting Still di Hu Bo
Quattro ore, un’allegoria del crollo del sogno comunista cinese che unisce passato, presente e futuro, una macchina da presa che pedina, vigila, opprime i protagonisti, vittime di un sistema post-apocalittico che appiattisce le classi sociali e con scuole che sembrano campi di concentramento, per uno degli esordi più belli degli ultimi 30 anni. La solo risposta a tutto questo è un elefante, l’immagine sacrale di valori di più elevata moralità. E vista la triste fine del fautore di questa incredibile opera, il lato fiction finisce per aderire ad una testimonianza documentaristica. Un lascito per i posteri. Hu Bo, dovunque tu sia… grazie.
1) Suspiria di Luca Guadagnino
C’è chi va avanti di usato sicuro e chi, invece, non teme nulla e si permette di osare. E dopo aver ripreso “La Piscina” di Jacques Deray per realizzare “A Bigger Splash“, dopo aver commosso tutti con “Chiamami Col Tuo Nome“, Luca Guadagnino tocca “Suspiria” di Dario Argento, lo stravolge, lo sconquassa per tirarne fuori una rielaborazione personale che va al di là del qualunquista remake ma che anzi traccia un solco essenziale per qualsiasi cineasta desideroso di “rifare” un classico dell’arte cinematografica.
Il “Suspiria” di Luca Guadagnino è un’opera d’arte totale, orgogliosamente Anni Settanta nella direzione, nei costumi, nelle scenografie, nel trucco, che, nel suo sperimentalismo assoluto, mescola la danza, il balletto di Pina Bausch e Martha Graham, la videoarte, il cinema di Fassbinder, il melodramma estetico, la storia della Germania negli anni settanta tra movimenti femministi e scorie del nazismo. L’horror tra gli orrori della Storia. Va oltre la matrice allucinatoria di quel sussulto trip di Dario Argento bagnato dalla fotografia di Tovoli.
È un film che si prende i suoi tempi, si regala scene inquietanti, che racconta il potere delle donne ed il potere in generale (chi abusa di questo, fallirà con un brutale capovolgimento che stabilirà nuove gerarchie anche totalitarie nel peggiore dei casi), che è costruito su labirinti, specchi e stanze segrete, che omaggia Jessica Harper in una maniera encomiabile, che è accompagnato da una colonna sonora ipnotizzante da vero cantico di streghe, che ha nel montaggio un Walter Fasano in stato di grazia, che ha un sonoro impeccabile (i piedi battuti sul pavimento, i sospiri), che dà a Tilda Swinton una delle prove attoriali più camaleontiche e viscerali della sua carriera, che dà a Dakota Johnson la miglior interpretazione finora della sua carriera. In questo mediocre panorama contemporaneo del cinema italiano, è delizioso vedere un cineasta italiano che ha i cosiddetti per confrontarsi con la Storia, per raccontare la Storia e di scrivere la Storia.
affetto per Hardy a livelli quasi da coming out.