In occasione dell’uscita di “Ready Player One”, Ettore Dalla Zanna ha voluto onorare la figura di Steven Spielberg, con una serie di tre speciali dedicati alla serie di “Indiana Jones”.

Indiana Jones

I film di avventura, i serial della Republic Pictures degli anni Cinquanta, le inquadrature che omaggiano “Ombre rosse” di John Ford, l’aereoplano di “Orizzonte perduto” di Frank Capra, la carrellata aerea durante la scena finale nel magazzino che ricorda “Quarto Potere” di Orson Welles. Per non parlare dell’Allan Quatermain di Stewart Granger de “Le Miniere Di Re Salomone“.

Tanto citazionismo, molti punti di riferimento, eppure in principio fu James Bond. Infatti il buon Steven Allan Spielberg aveva in mente di fare un film su James Bond. Fu l’amico George Lucas a spingerlo più in avanti e preparare qualcosa di più originale e straordinario per la loro contemporaneità. L’idea, fondamento di tutta la serie, non solo furono i film d’avventura degli anni Quaranta e Cinquanta ma fu, principalmente, quella data dal regista Philip Kaufman. L’idea di un archeologo alla ricerca di manufatti storici, come ad esempio l’arca dell’alleanza.

Il Professor Jones

L’idea dell’archeologo che omaggia i classici piace molto a Spielberg, Lucas contatta Lawrence Kasdan per la sceneggiatura del film. Da queste prime battute, la saga di Indiana Jones non essere propriamente “Spielberghiana”, ma incredibilmente, nell’intero arco degli anni Ottanta, osservare l’intera trilogia, ha permesso a molti studiosi di studiare, analizzare il percorso di Spielberg verso la glorificazione e l’apertura a certo cinema “più impegnato”. Sperimentazione, freschezza giovanile nel primo capitolo. Stravagante deriva horror nel secondo capitolo. Riflessione ed intimità nel terzo capitolo.

Politicamente scorretto, borderline, con una forte conoscenza enciclopedica, con un’energica paura per i serpenti, “piacione” quanto basta. Nasce la figura di Indiana Jones, il professor Henry Jones Junior (tenete a mente il Junior, lo riprenderemo nelle puntate successive). Il James Bond della coppia Spielberg e Lucas ma più propriamente dello stesso Spielberg. L’archeologo e la saga di cui ne è protagonista, infatti, non solo possono essere fonte di analisi dello Spielberg di quei tempi, ma anche un modo per raccontare il cinema fantastico di Spielberg, per sussumere tutta la grande produzione del regista in un’unica icona, tra l’altro, una tra le più celebri in tutto il mondo.

Il personaggio di Indy, come detto, nasce da un’idea di George Lucas, la prima ispirazione arriva dal personaggio di Nevada Smith interpretato da Steve McQueen, Lucas, però, cambia nome, trasformandolo in Indiana Smith, in omaggio al suo cane Indiana, un Alaskan Malamute che aveva già ispirato Lucas per il personaggio di Chewbacca in Guerre Stellari. Una volta passato nelle mani di Spielberg, il nome proprio non gli piace, suona troppo male. Il progetto passa a Spielberg, il quale, con rinnovato entusiasmo, simile a quello avuto durante le riprese de “Lo Squalo“, costruisce l’intero film.

Alcuni aneddoti del dietro le quinte

Il look del personaggio è, a suo modo, un omaggio ai serial della Republic. Ad esempio, la gag del protagonista che prima perde e poi recupera il cappello (presente in tutti i film della serie) arriva proprio da lì. Il leggendario Fedora di Indiana Jones, invece, è stato portato sul set dalla costumista del film e per dargli un aspetto più consumato e vissuto, a turno si sono seduti tutti sopra!

Il protagonista doveva essere Tom Selleck ma rifiutò perché troppo impegnato con la serie televisiva “Magnum P.I.” Spielberg si rivolse di nuovo a Lucas e quest’ultimo giocò la carta Harrison Ford. L’attore, dopo tanti anni, dichiarerà:

Prima ho amato la sceneggiatura e, poi, quando l’ho conosciuto ho amato anche Spielberg.

Siamo ancora nella fase dello Spielberg più energico, più sperimentalista. E’ la forza dell’entusiasmo che lo spinge a controbattere contro tutto e tutti purché si faccia questo film. Riprenderà la saga successivamente, non solo per un ritorno giustamente commerciale, ma anche per poter rimetterci tutto se stesso per un’altra volta. Quasi come se fosse una valvola di sfogo (l’esempio più lampante di questo motivo può espressamente il terzo capitolo della serie).

Un dettagliato piano di riprese, ritardi su ritardi (tra i molteplici, la fabbricazione del set del pozzo delle anime, costruito su quello dell’Overlook Hotel del film “Shining”). Addirittura alcune scene complicate vengono riviste a causa del caldo torrido. Come ad esempio quella che avrebbe dovuto avere come protagonista un complesso combattimento tra Indiana Jones armato di frusta e il tipo con la scimitarra. La scena viene semplificata ma incredibilmente eretta nella Storia del Cinema: più che combattere, Indy si limita a sparare un colpo di pistola.

Conclusioni

E questa sequenza riassume tutta la grandezza di questo film: umorismo, azione e avventura nella stessa scena. Il film, infatti, è una magistrale opera citazionista che viaggia a ritmi altissimi. Non c’è un attimo di stanchezza di scrittura. La narrazione fila liscia non solo grazie a dialoghi memorabili (“Non sono gli anni, sono i chilometri“) ma proprio grazie ad una regia che raggiunge livelli impressionanti. Basti pensare all’inseguimento sul camion, al lavoro svolto dallo stuntman, dallo stesso Ford (che si è guadagnato diverse escoriazioni durante le riprese di questa scena), dalla coreografia ed, appunto, dalla regia di Spielberg. Per non parlare poi dell’impatto che ha avuto nella cultura popolare questo primo capitolo. Una citazione su tutte, è sicuramente quella dei Simpson che vede Bart rifare la scena d’apertura del film per mettere le mani sul vasetto delle monete di Homer.

Un capolavoro di film che s’inserisce prepotentemente nell’immaginario collettivo. Sembra difficile metterlo in difficoltà da questo punto di vista. Sembra…

Indiana Jones

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