Da John McTiernan a Renny Harlin. In occasione del 25 Dicembre, Ettore Dalla Zanna vi parla anche del sequel del mitologico “Die Hard”.

Die Hard

È il 1990. Sono passati due anni dall’uscita di quel capolavoro che è “Die Hard – Trappola di Cristallo“. Giubilo, favori della critica (tranne Ebert ed altri), incassi stellari, nominations tecniche ai Premi Oscar (non vinti, come per tutti i film più grandi della Storia del Cinema). Ed è passato un anno nella finzione narrativa dagli eventi accaduti la notte di Natale del 1988 al Nakatomi Plaza.

Per motivi contrattuali, John McTiernan non può dirigere il sequel di “Die Hard“. Infatti, è immerso a piene mani nella lavorazione di “Caccia ad Ottobre Rosso“, altro film clamoroso nella filmografia del regista con protagonisti Sean Connery ed Alec Baldwin. Al posto di McTiernan, sale nella cabina di regia Renny Harlin. Finlandese, classe 1959, di madre infermiera e padre medico, a quei tempi, si era fatto vedere con l’horror “Prison” con protagonista Viggo Mortensen ed era arrivato alla ribalta dopo aver diretto il quarto capitolo della saga di “Nightmare“.

Inizialmente indirizzato alla regia di “Alien 3“, il ragazzone finlandese finirà col dirigere il sequel di “Die Hard“, il primo di tanti action movies che Harlin dirigerà (“Cliffhanger” e “Spy” su tutti, quest’ultimo, addirittura, scritto da Shane Black).

Semiotica di Die Hard

Die Hard

È vero, c’è l’adattamento di un altro libro. Se nel primo si adattava uno della vastissima saga di Roderick Thorp dedicata al poliziotto Joe Leland, in questo caso si adatta “58 minuti” di Walter Wager, il quale si era occupato della novelization di “Codice Magnum” di John Irvin con Arnold Schwarzenegger protagonista. Eppure, aldilà dell’adattamento, “Die Hard 2” è un esempio perfetto di sequel prodotto con lo stampino per replicare il successo del primo film. Stesso identico cast tra i protagonisti, stesso sceneggiatore e, alla larga, anche stessa storia! Cambia l’ambientazione. Dall’assolata Los Angeles e il Nakatomi Plaza si passa all’aeroporto internazionale di Dulles, in una Washington tempestata da una clamorosa tormenta di neve.

Viene a mancare il grande conflitto tra i valori del Natale e le nefandezze compiute dall’avidità e dal capitalismo. Manca infatti il motivo di rapina sostituito questa volta da motivi politici ed idealistici (il contrario del primo praticamente). Manca il conflitto con la moglie, qui ridotta al ruolo da damigella in difficoltà, solo alcuni comprimari sono caratterizzati alla grande e si sente l’assenza dell’Al Powell di Reginald VelJohnson, qui solo in cammeo.  Nonostante tutte queste problematiche, perché “Die Hard 2” è un film da vedere?

Val Verde caput mundi.

Die Hard 2

Perché dopotutto la struttura rimane coerente con quella del primo “Die Hard”. Funzionava quella, funziona anche questa. Notte di Natale, questa volta in aeroporto. John McClane attende l’arrivo della moglie, fino a quando non intravede due sospetti entrare nella zona di smistamento dei bagagli. Si scatena una sparatoria, uno dei due sospetti viene freddato, mentre l’altro fugge in una chiesa vicina alle piste, base operativa di un gruppo di terroristi, con a capo il colonnello Stuart (orribile villain, che compare anche nudo in una scena grottesca di palestra domestica), intenzionati a scatenare il panico tra gli aerei in volo sopra Dulles, con l’obiettivo finale di liberare il generale Ramon Esperanza (interpretato dal leggendario Franco Nero, il mitico Django!) prigioniero politico proveniente da Val Verde. 

Già Val Verde. Il paese fittizio ideato da Steven E. de Souza ed utilizzato per evitare casi di contenziosi diplomatici o controversie legali con lo stabilimento di una loro produzione cinematografica in stati “caldi”. La sua posizione si colloca tra il Centro America e l’America Meridionale. 

Val Verde era già presente in film come “Commando” (è dove andrà il John Matrix di Schwarzenegger a salvare la figlia) e “Predator” (dove il Maggiore Dutch Schaefer e compagni affronteranno il Predator). Altro che Marvel Cinematic Universe, altro che Universo di Star Wars! Val Verde Cinematic Universe unico universo cinematografico accettabile.

L’uomo sbagliato, nel posto sbagliato, al momento sbagliato

Prima l’amicizia con il capo della polizia aeroportuale Carmine Lorenzo agguantata dopo alcuni convenevoli del tipo:

Capitano, mi tolga una curiosità: cosa fa scattare prima il metal detector? Il piombo che ha nel culo, o la merda che ha nel cervello?

Poi l’amicizia con il resto dello staff aeroportuale. Il Trudeau di Fred Thompson, ad esempio, non si esprime mai apertamente, Thompson recita molto in sottrazione (forse troppo) ma sin dall’inizio, negli occhi, crede in John McClane, l’eroe di Nakatomi come tutti ripetono. Addirittura l’aiuto dagli Stati Uniti d’America, quest’ultimo capitanato da John Amos, il quale entrerà in conflitto con il poliziotto protagonista e se ne uscirà con una massima che definisce perfettamente McClane e questa grande saga.

“McClane, lei è l’uomo sbagliato, nel posto sbagliato, al momento sbagliato.

McClane, a questo punto, alza lo sguardo e con gli occhi colpiti da un’illuminazione, conscio delle parole che gli sono state appena dette, dice:

La storia della mia vita.

Perchè John McClane è Bruce Willis e Bruce Willis è John McClane. Questo è un momento fondamentale che unisce passato, presente e futuro. McClane, sin dal primo capitolo, è sempre una persona comune, “uno di New York” che si ritrova in situazioni più grandi di lui. Ne uscirà insofferente, con molto sangue perso. Ma vincente. Lo ami, empatizzi, tifi per lui. McClane è uno di quei pochi personaggi che appassiona, affascina ed emoziona.

I Pregi

A volte ritornano. Chissà perché capitano tutte a M…cClane. Il Natale, Holly in pericolo (senza ruolo attivo), i terroristi (con motivi politici e non economici), il Natale, il giornalista stronzo (sempre con la faccia da schiaffi di William Atherton) che scatena nuovamente il panico per fare uno scoop (e vincere il Pulitzer) e ancora il Natale. Ci provano gli sceneggiatori ad introdurre anche una figura alla Powell, identificata in Marvin, il vecchio archivista solitario, appassionato di dischi, che spunta sempre quando McClane ha bisogno del suggerimento giusto per spostarsi velocemente nel labirintico aeroporto. Non emerge mai come il “gigioneggiante” VelJohnson che comunicava con McClane, non c’è lo stesso feeling da amicizia virile con il poliziotto di New York. Però riserva alcuni momenti comici molto divertenti.

La regia di Harlin è vivace, veloce e gagliarda. Si percepisce il divertimento con il quale Harlin si è approcciato al genere e dal quale non si staccherà per un bel pò di tempo. Ritmo micidiale, esplosioni moltiplicate, tamarraggine e il risultato portato a casa. Certo, è una regia meno raffinata e più “caciarona” rispetto a quella di McTiernan ma rimane apprezzabile. La sequenza d’azione nella nuova ala del terminal (iniziata con il mascellone di Robert Patrick che, alla domanda “Con chi credi di avere a che fare?”, risponde “Con un bersaglio!”) e l’inseguimento con le motoslitte sono d’antologia del cinema d’azione.

Conclusioni

Il film finisce come il primo. Con un ricongiungimento e con un Dean Martin come accompagnamento musicale. Al box-office, è un altro trionfo d’incassi. Roger Ebert lo critica aspramente definendolo un “terrificante divertimento”. Il compare Siskel lo considera come uno dei film migliori del 1990 (il sesto per la precisione). Bruce Willis è ormai una star, il suo John McClane è divenuto un’icona. Non solo in questo continuo, eterno ritorno dell’uguale nel salvare le persone dai terroristi ma proprio per il suo carattere e il suo sacrificio. Esemplare il momento in cui vuole salvare un aereo che sta per abbattersi sulla pista destinato alla morte. “Cosa vuoi fare?”, “Tutto quello che posso”. Per poi disperarsi per il mancato salvataggio e piangere. Uno dei momenti più belli della serie.

Per il terzo capitolo bisogna attendere ben 5 anni. Il 1995. Ritornerà Willis, ma ritornerà anche John McTiernan. Ma questa… è un’altra storia.

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