Intervista a Vincenzo Fiorito, scenografo di “The Broken Key”

Vincenzo Fiorito

Vincenzo Fiorito, nato a Eboli nel 1952, è pittore, scultore e scenografo per il cinema e il teatro. Dal 1970 vive e lavora a Torino.

Ha collaborato con la compagnia teatrale Raffaella de Vita di Torino, ha ideato impianti scenici presentati in importanti teatri italiani come:Teatro Nuovo e Teatro Juvarra Torino, Teatro Gerolamo Milano, Teatro San Carluccio Napoli,  Teatro la Fenice Venezia, nell’ ambito della rassegna “Futurismo & Futurismi.  La testimonianza che lascia  della sua passione e continua ricerca nell’arte è confermata con la presenza in mostre e fiere sia  in Europa che negli Stati Uniti d’America come: Miart (Milano), Artissima (Torino), Buchmesse (Francoforte), First Fair ( Bologna), e in Artist residence come No Boundaries Art Colony, North Carolina U.S.A. e International Planner Malko Tornovo Bulgarie.

Nel 2008 ha collaborato con la poetessa Alda Merini col progetto libro/scultura “Avec le Temps”. Edizioni limitate.

I suoi lavori si trovano in importanti musei e collezioni private sia in Italia che all’estero.

Da diversi anni collabora come scenografo con la Casa di Produzione Cinematografica L’altrofilm di Torino e  col regista Louis Nero, il loro ultimo lavoro è il thriller fantascientifico “The Broken Key” ambientato in un immaginario 2033 nella città di Torino.

1) Come vive il rapporto con la città di Torino e con il Piemonte? E, per quanto riguarda il film, come è stato lavorare in questi territori a livello scenografico?

      Ormai sono molti anni che abito a Torino, prima solo per turismo poi stabilmente a conclusione degli studi artistici a Salerno. Torino è sempre stata una città di frontiera, laboratorio alla ricerca di una identità, piena di fermenti, sebbene all’opposto del mio backgroud culturale ,mi fu facile compenetrarmi nelle atmosfere oscure, metafisiche, io che provenivo dai vicoli e un mare sfavillante, ma Torino è così: Cattura e attrae sopratutto per i contrasti delle sue architetture evidenziate con chiaroscuri che si accordano magicamente e cromaticamente come le scene progettate per “The Broken Key”.

      Per me, pittore, che ama De Chirico e il surrealismo, Torino è l’ideale per una simbiosi totale sino a trasformare le scene in veri quadri.

2) Mi ha colpito molto l’ambientazione “anacronistica”, se così di può definire, del film; ossia il fatto che sebbene compaiano elementi di fantascienza molti ambienti hanno una sorta di “aura antica”, quasi medioevale. Come è riuscito ad armonizzare questi due mondi, e come è stato il processo creativo alla base della costruzione questo “futuro”? 

       “The Broken Key” è ambientato in un futuro prossimo, nel 2033, quindi più facile da immaginare. Mi è stato di aiuto il potere evocativo della città e delle fantastiche locations, come la Sacra di San Michele, Saliceto, Rosazza. Io non ho fatto altro che sintonizzarmi su di un canale preferenziale che parlasse il linguaggio dei segni e delle allegorie presenti nei monumenti e nei palazzi nei quali abbiamo ambientato le scene del film.

       La fase più autentica della vera creazione è stata nell’immaginare e miscelare l’antico col futuribile, per ottenere altre possibili esistenze e convivenze. Vi sono momenti, quelli che precedono l’inizio del lavoro fisico, in cui mi sintonizzo con il complesso patrimonio simbolico e archetipico contenuto nella mente e di seguito dare il senso dello scorrere del tempo.  Ogni  la scena va “invecchiata” e curata come un quadro antico, esaltata di seguito dal direttore della fotografia.

Amo “The Broken Key” perché ho potuto esprimermi liberamente, trasferirmi nel mio futuro tenendo sempre presente le esigenze tecniche della regia. Posso dirti che ogni qualvolta la scena era finita avvertivo un forte senso di liberazione e di leggerezza, come se avessi partorito una creatura in carne ed ossa.

 

3) Nel film si può notare un uso piuttosto massiccio della computer grafica. Come vive, lei che ha studiato e lavora nell’ambito dell’arte figurativa, la questione del digitale nel mondo del cinema?

       In “The broken Key”, oltre alle scene tradizionali per la prima volta ho costruito degli elementi tridimensionali e props con delle precise esigenze tecniche su cui sono stati sovrapposti effetti  speciali. Collaborare con Pierfilippo Siena, supervisore degli effetti e la sua formidabile equipe, è stata un’esperienza formativa. Nel nostro caso  tutti gli interventi hanno creato un unicum con la scena-base lasciando una traccia fisica, cromaticamente omogenea,cosa importante per me che nasco prima come pittore e poi scenografo.

       In molti casi, invece, gli stessi effetti hanno l’unico scopo di stupire lo spettatore, a volte esasperandoli sino ad arrivare ad una assuefazione di essi.

4) Lei lavora sia nell’ambito teatrale che cinematografico, quali sono le differenze principali tra i due “ambienti di lavoro”?

       L’idea, il punto di partenza, la progettazione e infine la realizzazione hanno l’identico processo creativo.

       Nel cinema tutto è movimento, bisogna risolvere vari imprevisti all’istante, in alcune riprese tutto va spostato in favore della regia. Nel caso di ripensamenti tutto deve essere fedelmente ricostruito nei minimi dettagli, perché  sono i dettagli che impreziosiscono la scena.  In teatro valgono gli stessi principi, invece del copione c’è il testo teatrale. Ho fatto incontri virtuali con Brecht, Viviani, Fo,Gaber, e molti altri.

       La scena è statica, gli attori creano il movimento.
Tutto esige sempre un equilibrio tra luci e forme per sottolineare la recitazione e  la  messa in scena
. La finzione è bella in quanto finzione, ogni attimo è tensione lo spettatore entra nella storia ma sa di assistere ad una recita.

       Nel cinema le scene si susseguono, lo spettatore man mano diventa complice del film, dimentica la finzione, si fa condurre e partecipa al rito collettivo di entrare in altre dimensioni. In ambedue i casi, però, c’è sempre l’esigenza di un “racconto”  che porta ad un incontro emozionale con lo spettatore.

5) Parliamo della sua collaborazione con il regista Louis Nero: il vostro sodalizio va avanti da diversi anni, dando alla luce dei film visivamente meravigliosi!

       Ormai sono molti anni che lavoro con Louis, ho fatto le scene di quasi tutti i suoi film.

L’incontro con lui fu nel mio studio di Torino, in piazza Castello. Complice fu una telefonata di un amico in comune, lo scultore Dimitri Coppola che mi disse ” ti devo presentare una persona speciale”.  Così conobbi Louis, appena ventenne, idee chiare, stessa passione per l’arte, e i suoi capelli lunghi mi ricordarono la mia appartenenza alla Beat generation. Io pittore già affermato, ero restio nel prestarmi al cinema ma la voglia di avventura prevalse.

       “Golem” fu il primo lungometraggio, solo io e Moni Ovadia avevamo superato gli anta, ma il trovarmi con una giovane troupe effervescente e coraggiosa fece il resto.

       Con il tempo, si è creata una sinergia di intenti pur percorrendo binari diversi con scambio di vedute a volte accese, ( seguire le tematiche di Louis è piuttosto complesso),ma si riesce sempre a semplificare e definire la parte visiva in un unico punto di vista.

       L’incontro tra due artisti non è facile ma i nostri mondi sono nella stessa orbita, quello che ci unisce e l’amore per Caravaggio e altri pittori cosiddetti ” maledetti”. C’e molto della mia pittura nei film di Louis, come nei miei quadri col tempo c’è una parte della tematica cinematografica di Louis Nero.

       Louis non ha età, prepara i suoi film come io preparo le mie tele, è descrittivo e misterioso, libero solo come un artista sa esserlo, non teme confronti e scontri, scende in campo armato di stiletto come Caravaggio, caparbio o indulgente sa di attraversare territori minati. Quello che ci unisce? L’amore per l’arte che va studiata, compresa e sublimata

Istantanea back-stage di INFERNO, un corto diretto da Louis Nero nel 1999

 


Vincenzo Fiorito e Louis Nero – Controllo Scene

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