Blade Runner 2049. Il blockbuster del momento. Grandissimo film o disastro totale? Ecco il punto di vista di Ettore Dalla Zanna.
Tempo di Punti di Vista per “Blade Runner 2049“!
Più che l’apertura ad un franchise, a me sembra di gran lunga un ampliamento e la conclusione di un discorso lasciato in sospeso trentacinque anni fa. E dagli incassi ricevuti dalla pellicola, mi sa che sarà così. Inizialmente, per la prima ora, questo “Blade Runner 2049” sembra Dougie Jones: piuttosto inebetito, vagabondante, non sa che strada prendere, eppure si mostra estremamente salutare nell’esteriorità, evidenziando una pazzesca visionarietà ben visibile sin dai primi minuti.
Poi tutto cambia, “Cooper si risveglia” e di colpo “Blade Runner 2049” sa perfettamente dove vuole andare a parare. E sì, si può parlare della nostalgia, del passato, dei ricordi manipolati, del commercio, di illusione, di quanto sia difettosa la caratterizzazione del personaggio di Jared Leto. Di quanto l’istanza politica non funzioni efficacemente, di quanto sia bella la fotografia di Deakins. Di quanto la soluzione narrativa che caratterizza il personaggio di Gosling ricordi, alla larga, una delle soluzioni narrative di “Metal Gear Solid 2: Sons Of Liberty“, ma per me “Blade Runner 2049” è molto di più. È fondamentalmente un “ritorno a casa”.
Un ritorno a casa
Non solo un ritorno all’universo del film dell’82 ma un vero e proprio ricongiungimento definitivo, una base solida su cui ripartire. Non era casuale il riferimento a “Twin Peaks” all’inizio. È incredibile come questo film e il The Return siano molto distanti ma incredibilmente vicini. Tutti e due sono ritorni al passato, tutti e due hanno avuto come annata d’inizio produzione il 2014 (ed entrambi sono usciti nel 2017). Tutti e due non sono operazioni nostalgia e tutti e due sono dei ritorni a casa (intesi anche e soprattutto come ricongiungimenti affettivi). Altro che servilismo nei confronti del primo!
Il sequel di “Blade Runner” offre un espansione e un aggiornamento del primo capitolo. Siamo più dalle parti del cinema di Villeneuve che in quelli del primo film. Dove il primo era sexy, ricolmo di sudore organico, nebuloso e pieno, ricolmo di elementi, il secondo è asettico, freddo e razionale nella superficie ma estremamente caldo e affettuoso in profondità. Rimane comunque un film prettamente di vuoti. L’elemento asettico, tanto criticato dai più, è in realtà decisamente efficace e perfettamente conforme non solo con le ambientazioni e i look (mi permetto per questo di far notare semplicemente il cambio di look di Deckard, dall’impermeabile trench con cravattini e bizzarre camicie a semplice t-shirt grigia da americano medio) ma conforme anche ai personaggi ed alle relazioni interpersonali.
La chiusura di un cerchio
Vuoto negli ambienti, vuoto il look, vuoti i personaggi che vivono in un mondo che imprigiona e che non permette di esprimere al meglio le emozioni. Si allontana dall’82, si costruisce proprie fondamenta, poi ritorna all’82 per sviscerare la profondità di quel film. Forse la più importante: il rapporto tra Deckard e Rachael. Come ben sappiamo, entrambe le due importanti versioni del primo film (l’Original Release e il Final Cut) terminano col finale aperto: la prima più fiduciosa con le inquadrature aeree “shininghiane” prese in prestito da Kubrick e la seconda molto più aperta della prima e più pessimista.
“Blade Runner 2049” riprende da questa sospensione (guarda caso come fatto da “Twin Peaks” nella terza stagione con Cooper e i venticinque anni nella Loggia Nera) e ci riporta al principio di “Blade Runner”. Deckard è tornato ad essere un tipo solitario, è stato privato anche di poter vivere in pace assieme a Rachael. Poi arriva lui, l’agente K, per i pochi amici Joe (Joseph K. era il protagonista de “Il Processo” di Kafka) che si spinge verso la comprensione e la scoperta di sé, del suo passato e della sua essenza, provando anche per via sensoriali come quella del tatto (l’allusione al suo essere un bambino è perfetta per l’occasione)… per poi lasciare spazio a chi davvero deve ricongiungersi con l’autentica verità.
Padri e figli
Il ritorno a casa di “Blade Runner 2049” è un ricongiungimento affettivo tra Deckard e Rachael declinatosi però nel rapporto tra un padre e una figlia, totalmente distanti per assai troppo tempo. La rivoluzione non si è concretizzata causa l’elemento seriale ma la matrice di “Blade Runner” è arrivata alla sua conclusione. Non è importante la sconfitta del male e il beneficio di ciò in “Blade Runner 2049” ma il ritorno a casa. Un ritorno intimista, alle origini di tutto quanto, al legame più forte che abbraccia l’umanità (padre-figlio in generale) e che abbraccia l’universo di “Blade Runner” (Deckard-Rachael).
La mano sul vetro è immenso Cinema. Ma poi Gosling, quella scalinata, quella neve, quella commozione, quel tema musicale. Meglio non ripensarci, mi asciugo gli occhi. “Blade Runner 2049” è magniloquente nella visionarietà espressa. Farraginoso per le istanze politiche e seriali che tenta di esprimere ma interessante per come riesce ad espandere l’universo del film dell’82. Estremamente affettuoso nei confronti dei personaggi, di quel grande film che è stato “Blade Runner” e nei confronti del Cinema. Molto probabilmente mi sbaglierò su questo film e tutti quei momenti visti ma soprattutto vissuti in questo film andranno perduti nel tempo come lacrime nella neve, però ne sono uscito piuttosto appassionato da questo sequel e non me l’aspettavo, anzi ero molto pessimista. Poi oh, fate un po’ voi.